AGGIORNAMENTO MARZO 2013
sourge : Massimo Di Nola
Un Paese che cresce
Nell’ultimo decennio l’Indonesia ha mantenuto un tasso di crescita del PIL pari (in media) al 5,2% annuo.
Tra i 18 maggiori Paesi del mondo, solo la Cina e l’India hanno fatto
meglio. Se, come tutto fa pensare, questo trend continuerà anche nei
prossimi anni, nel 2030 l’Indonesia sarà la settima potenza mondiale
davanti anche a Paesi come la Germania o il Regno Unito, superata solo
da Cina, Usa, India, Giappone, Brasile e Russia. Non solo, ma l’aspetto
importante è che questa crescita non è dovuto solo all’aumento della
popolazione. Anzi, il 60% è imputabile a una crescita di produttività.
Che ha avuto un andamento particolarmente rilevante in settori diversi
come la produzione dei mezzi di trasporto (moto e più recentemente anche
auto) ma anche le telecomunicazioni, la logistica e il commercio.
I motori dell’ economia
La crescita del Paese è trainata dai consumi.
Si tratta di un importante punto di forza in quanto riduce la
dipendenza del Paese dall’andamento della congiuntura mondiale. E
infatti la crisi del 2008 non ha inciso sul ritmo di crescita del Paese.
Anche nei settori in cui l’Indonesia era (e in parte rimane) una
piattaforma di produzione a basso costo (calzature, abbigliamento) ormai
il mercato interno è un fattore trainante; a ciò si aggiunge l’immensa
dotazione di materie prime e risorse agricole e forestali. L’Indonesia è il secondo esportatore mondiale di carbone dopo l’Australia, dispone di riserve accertate di petrolio per 4 miliardi di barili in aggiunta a 3 miliardi di m3 di gas naturale, si colloca nei primi tre posti delle classifiche mondiali per alluminio (bauxite), nickel e stagno, è il primo esportatore mondiale di oli vegetali (palma) e il secondo di cacao e gomma vegetale.
Industria
E’ un’area in cui c’è moltissimo da fare. Ci sono settori in cui l’Indonesia è un gigante mondiale. Ad esempio è un gigante nell’industria delle due ruote: secondo produttore di moto con 8,2 milioni di pezzi prodotti ogni anno.
E’ altamente competitiva nel settore tessile (soprattutto filiera
sintetica) e delle le calzature. Il Paese inoltre è impegnato ad
allungare la catena del valore delle risorse minerarie e agricole di cui
dispone. I programmi avviati riguardano l’intera filiera
agroalimentare, la petrolchimica e la metallurgia. Si aggiunge l’indotto
industriale del boom delle costruzioni in atto in tutto il Paese con
importanti ricadute nel settore dei materiali e componenti per
l’edilizia.
Competitività
Nella classifica del World Economic Forum (Banca Mondiale) l’Indonesia è “salita” dall’89esimo al 25esimo posto. Ormai supera Paesi come Brasile, India, Thailandia, Malaysia. L’aumento
della produttività del lavoro ha contribuito per oltre il 60% alla
crescita nel corso degli ultimi 20 anni. La forza lavoro del Paese
ammonta a 55 milioni di persone. E’ mediamente più giovane (28 anni)
rispetto alla Cina (35 anni), i livelli di turnover sono decisamente più
bassi e anche il costo è nettamente inferiore.
Conti dello Stato
Sotto questo profilo Jakarta è in una posizione invidiabile. Il debito copre solo il 25% del Pil. Dieci
anni fa la quota era l’80%. C’è stata quindi un’operazione di
alleggerimento formidabile che ha consentito alle Agenzie internazionali
di elevare il rating creditizio del Paese a Investment grade.
Particolarmente solida anche la posizione esterna del Paese. Le riserve valutarie ammontano a 110 miliardi di dollari e l’attivo della bilancia commerciale supera i 26 miliardi. Sono aspetti importanti perché lasciano aperto tutto lo spazio necessario per fare fronte agli ambiziosi programmi di investimento nelle infrastrutture, servizi sociali (scuola, sanità) definiti dal Governo di Giakarta nei prossimi 12 anni con un esborso previsto di 400 miliardi di dollari . E nello sviluppo del grande potenziale agricolo e minerario del Paese.
Indonesia e Asia
L’Indonesia cresce con i mercati del futuro. Il 54% dell’interscambio del Paese avviene con i Paesi dell’area Asiatica.
Che garantiscono un solido mercato per l’ingente patrimonio di materie
prime del Paese. Già oggi l’export indonesiano di oli vegetali verso
Cina e India supera gli 8 miliardi di dollari e quello di carbone i sei
miliardi. Grazie alle dimensioni del suo mercato e alle risorse di cui
dispone, l’Indonesia è anche destinata ad assumere una posizione di
leadership all’interno dell’area di libero scambio dei Paesi dell’Asia Sudorientale (ASEAN) con oltre 600 milioni di consumatori che include Paesi come Thailandia, Malaysia, Vietnam, Filippine ecc.
Indonesia 2020: la geografia della crescita
L’Indonesia
è un arcipelago composto da diverse grandi isole e migliaia di isole
minori (in tutto sono oltre 17mila), con Java in posizione nettamente
dominante sotto il profilo economico e sociale. Seguono, per rilevanza e
potenziale economico, Sumatra, Kalimantan (Borneo sudoccidentale),
Nuova Guinea (orientale) e Sulawesi. Sono tutte dotate di grandi risorse
naturali che risultano però difficilmente accessibili (e quindi non
sfruttate) per la mancanza di infrastrutture adeguate. In questo
contesto la sfida che il Paese sta affrontando è di mettersi nelle
condizioni di trarre pienamente profitto dall’immenso patrimonio di
risorse di cui dispone. Il tutto condensato all’interno di un grande piano pluriennale di sviluppo denominato MP3I (Masterplan for Acceleration and Expansion of Indonesian Economic Development) che indica un impressionante elenco di infrastrutture e attività produttive collegate tra loro:
porti, strade, ferrovie, centrali elettriche, reti di telecomunicazione
ma anche attività estrattive, impianti di trasformazione industriale e
agricola, reti di servizi. L’obiettivo indicato infatti è quello di una maggiore “connettività” tra le diverse aree geografiche e attività del Paese. L’investimento complessivo previsto supera i 400 miliardi di dollari.
Java
A
Java è concentrata la maggior parte dell’attività manifatturiera e di
servizi del Paese. L’Isola però è visibilmente sovrappopolata: su un
territorio pari a meno della metà dell’Italia (136 mila chilometri
quadrati) è insediata una popolazione di 135 milioni di abitanti. Le
ambizioni del Governo sono elevate: l’obiettivo è di seguire l’esempio di altre Nazioni asiatiche come la Malaysia o Singapore puntando sulla crescita di produzioni a maggiore valore aggiunto, servizi evoluti e attività connesse a quella che oggi viene definita come “economia della conoscenza”.
Resta però molto da fare. Non solo permangono forti disparità tra le
diverse Province dell’Isola ma le infrastrutture di collegamento interne
in particolare lungo la costa settentrionale, sono insufficienti.
Mentre quelle interne alle maggiori aree metropolitane sono inadeguate
rispetto al carico demografico e di mobilità da cui sono gravate. Sono
anche sottoposte a periodici allagamenti provocati dalle piogge. Il
problema investe in particolare, la cosiddetta Grande Jakarta (Jabodetabek) che copre tre Province con una popolazione valutata in 12 milioni di persone e un reddito medio (oltre 5mila dollari annui) nettamente superiore a quello del resto del Paese. Il Piano pluriennale prevede,
per l’intera area, la realizzazione di un sistema di metropolitane e
treni suburbani, la costruzione di un nuovo porto e di strade a
scorrimento veloce con diversi tunnel e viadotti, il potenziamento del
sistema di approvvigionamento idrico e delle reti di depurazione e
smaltimento dei residui urbani, l’arginamento dei fiumi che attraversano
l’area e la costruzione o ampliamento di diversi poli logistico
industriali, per un investimento totale nell’ordine dei 135 miliardi di dollari. In parallelo dovrebbe procedere il potenziamento della rete ferroviaria e stradale esistente.
Sumatra
La seconda Isola più popolata dell’Indonesia è considerata come uno dei serbatoi del Paese più ricchi di risorse naturali con particolare riguardo alle piantagioni di olio di palma (70% della produzione indonesiana) e cacao e alle miniere di carbone.
Le sfide da affrontare sono: aumento di produttività, miglioramento
delle infrastrutture di trasporto e stoccaggio, aumento delle rese nei
possedimenti gestiti da piccoli proprietari. Si aggiunge la possibilità
di un forte sviluppo dell’attività a valle. Per l’olio
di palma sono: raffinazione, fabbricazione di detergenti, altri prodotti
oleochimici e biocarburanti. Nel caso della gomma naturale che viene
attualmente esportata in forma grezza per l’85% della produzione,
esistono ampi spazi per allungare la catena del valore: produzione di
lattice concentrato, fabbricazione di pneumatici e altri prodotti, dai
guanti ai materassi.
A Sud di Sumatra sono localizzate riserve carbonifere
valutate in 52 miliardi di tonnellate. Ma la produzione, ammonta solo a
20 milioni di tonnellate anno. Il dato è imputabile sia al minor
rendimento calorico rispetto al carbone del Borneo, sia alla mancanza di adeguate infrastrutture di trasporto.
Ma un possibile e importante sbocco viene individuato in un maggiore
utilizzo in loco per la produzione di energia. E questo è anche uno di
capitoli più rilevanti, in termini di investimenti previsti (quasi 15
miliardi di dollari). Si aggiungono l’ampliamento e la connessione delle
reti stradali e ferroviarie interne all’isola con investimenti previsti
per 17 miliardi di dollari. In fase di studio avanzato anche un’opera
particolarmente ambiziosa che prevede un collegamento via terra
(autostrada e ferrovia) con Giava. Sul piano industriale il programma
prevede lo sviluppo dell’attività siderurgica a valle
dei giacimenti di ferro localizzati nell’Isola, a Cilegon (5,7 miliardi
di dollari). In particolare Posco (Corea del Sud) in joint venture con
gruppo statale indonesiano Krakatau Steel ha avviato la costruzione, per
fasi successive di un polo siderurgico che avrà a regime una capacità
annua pari a 9 milioni di tonnellate per un investimento superiore ai 6
miliardi di dollari. Nella stessa località dovrebbe sorgere anche un
altro gruppo locale con un impianto da 500mila tonnellate annue per la
produzione di billette. Rientra infine in un capitolo separato lo
sviluppo del megagiacimento di gas naturale di Natuna al largo di Sumatra (Isole Riau) con riserve pari a 6,3 miliardi di m3 di
gas di cui solo una parte (circa 1,3 miliardi) attualmente estraibili
in quanto la parte restante presenta una eccessiva concentrazione di
anidride carbonica. Il giacimento contiene anche 222 milioni di
tonnellate di petrolio.
Kalimantan (Borneo)
All’Indonesia
appartiene la maggior parte dell’Isola del Borneo, chiamata Kalimantan.
E’ il territorio più ricco di risorse minerarie e naturali del Paese.
In particolare il 50% del Pil di Kalimantan deriva dall’estrazione di petrolio e gas naturale
(esportato sotto forma di gnl) per quantitativi attorno agli 800mila
barili al giorno. E’ però un dato in declino. Uno degli obiettivi
quindi, è di riportare la produzione al di sopra del milione di barili
con il rilascio di nuove licenze per l’esplorazione di giacimenti in
acque profonde e la valorizzazione delle importanti riserve di bed coal
methane, cioè il gas naturale ‘intrappolato’ in scisti carboniferi. In
entrambi questi settori e’ attiva ENI. Nel Kalimantan è localizzato
anche il 50% delle riserve carbonifere del Paese ed è carbone ad alto tenore calorico.
Nel settore sono presenti i maggiori operatori australiani e indiani
del settore accanto ai gruppi locali e alla BP. E’ da qui che ENEL si
approvvigiona del 40% del suo fabbisogno complessivo. In questo caso la
sfida è rappresentata dalla costruzione di nuove infrastrutture, in
particolare ferrovie, per consentire lo sfruttamento dei grandi
giacimenti localizzati nell’interno. Una volta realizzati, i progetti
individuati (per un valore che supera i 18 miliardi di dollari)
consentirebbero di moltiplicare di sei volte la produzione attuale che
ammonta a 325 milioni di tonnellate di cui 265 milioni esportati.
Un’altra risorsa strategica di Kalimantan sono i giacimenti di minerali di ferro che coprono l’84% delle riserve del Paese.
Il Piano prevede lo sviluppo dell’attività di prima trasformazione del
minerale (pellet e ferro pre-ridotto) e la costruzione di nuove acciaierie a ciclo integrato con
investimenti pari a 3,7 miliardi di dollari. Di grande rilevanza anche
le riserve e l’estrazione di bauxite, il minerale di base per la
produzione di alluminio. Gli interventi programmati, sono mirati a
sviluppare l’intero settore ‘downstream (produzione di allumina,
alluminio primario e semilavorati) con investimenti previsti pari a 13
miliardi di dollari. Da rilevare il forte interesse per il settore
espresso da investitori indiani e dei Paesi del Golfo.
Nel settore dell’olio di palma la situazione è
analoga a quella di Sumatra con la differenza che i recuperi di
produttività possibili con un miglioramento delle tecniche colturali e
delle infrastrutture di trasporto del prodotto, sono ancora superiori
(attorno al 47%). Infine le foreste: le aree coinvolte ammontano a 42
milioni di ettari di cui solo 15 milioni sono sfruttate come foreste
coltivate. Anche questo settore, monopolizzato, sotto il profilo
commerciale da un numero limitato di operatori, è aperto ad ampi spazi
di razionalizzazione sia sotto il profilo delle politiche forestali, che
degli interventi infrastrutturali per il trasporto dei materiali.
Kalimantan infatti ancora più di Sumatra, per la sua stessa
configurazione geografica ha bisogno di nuove strade e di ferrovie e infatti gli investimenti previsti in questi due settori sono considerevoli: ammontano complessivamente a quasi 6 miliardi di dollari.
Sulawesi (Celebes)
Conosciuta anche come Celebes, l’Isola, con una superficie di 174mila m2 e 15 milioni di abitanti è il maggior produttore di mais, cacao (63% del totale nazionale) e riso. Su queste basi il programma del Governo di Jakarta è di trasformare l’Isola in uno dei maggiori ‘granai’ dell’Asia sudorientale
puntando non solo sul mercato interno ma anche sul crescente fabbisogno
della Cina. In questa prospettiva resta ancora molto da fare per
aumentare la produttività delle coltivazioni con uso di sementi
migliori, fertilizzanti, antiparassitari ecc. Eccezionali anche le risorse ittiche sia
per quanto riguarda la pesca in mare che l’acquacoltura (gamberi). In
questo caso gli investimenti previsti sono soprattutto nelle fasi di
lavorazione del prodotto e nei porti dedicati. L’isola copre anche il 60% della produzione indonesiana di ferronickel che viene prevalentemente esportato in forma grezza. Una lacuna questa che il Governo prevede di colmare con investimenti
per la raffinazione del prodotto, in grande prevalenza di privati, che,
congiuntamente all’espansione dell’attività estrattiva dovrebbero
raggiungere un valore complessivo di 10 miliardi di dollari.
Bali e Isole Nusa Tenggara
E’ il corridoio che ha sviluppato nel tempo una forte attrattività turistica del Paese con quasi tre milioni di arrivi annui.
E il turismo è anche il settore in cui il Governo di Jakarta prevede di
concentrare l’afflusso di capitali nei prossimi anni accanto
all’allevamento (soprattutto bovini) e alla pesca. Includendo anche le
infrastrutture (strade, aeroporti e ferrovie); il valore aggregato degli
investimento identificato per lo sviluppo di questo ‘corridoio’ ammonta
a poco meno di 5 miliardi di dollari.
Papua e Isole Molucche
All’Indonesia appartiene la parte occidentale della Nuova Guinea che gli Indonesiani chiamano Irian Jaya.
Analogamente a Sulawesi, il territorio ha una forte vocazione agricola e nell’area di Merauke il Governo di Jakarta punta ora a sviluppare un forte polo di produzioni intensive su scala industriale
(con un modello quindi diverso dalla piccola proprietà prevalente in
altre zone del Paese) su una superficie di 1,2 milioni di ettari. Le
coltivazioni previste sono riso, mais, canna da zucchero, soya,
topinambur in aggiunta all’allevamento. A Papua sono localizzate anche le maggiori risorse indonesiane di rame che
peraltro sono reperibili anche in altre isole dell’arcipelago (Sumatra,
Giava, Nusa Tenggara, Sulawesi). Attualmente nel Paese opera però solo
un impianto integrato per la raffinazione del minerale e la produzione
di catodi, localizzato a Giava. Altri dovrebbero sorgere nei prossimi
anni a Sulawesi, Kalimantan e anche a Papua a Timika. Nell’Isola ci sono
anche importanti giacimenti di nickel. Molto elevato il potenziale ittico delle Molucche ricche di specie pregiate, incluse aragoste, valutato in 1,6 milioni di tonnellate annue,
che però è sfruttato solo in minima parte per mancanza di strutture
adeguate. In fase iniziale lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e
gas.
Mercato e consumi
Abitanti: quasi 240 milioni il dato stimato alla fine del 2012. Ma quanti sono veramente
i consumatori di classe media che possono interessare anche le aziende
italiane nei settori vincenti (moda, prodotti alimentari, sistema casa
ecc) del made in Italy? La valutazione più affidabile, in materia è
quella fatta dal gruppo Mc Kinsey: siamo ormai attorno ai 50 milioni di
persone (reddito annuo familiare superiore a 8.850 dollari) per una
spesa complessiva che si avvicina ai 200 miliardi di dollari. Ed entro
il 2030, quando questo mercato avrà raggiunto i 1.100 miliardi di
dollari, se ne saranno aggiunti altri 90 milioni In assoluto, è il dato
di crescita più elevato nel mondo, dopo Cina e India.
Dove si trovano
Già
oggi più della metà della popolazione vive in aree urbane (dove si
produce anche il 75% del PIL). L’area metropolitana di Jakarta incluse
le città ‘annesse’ come Tangerang, Bogor, Bekasi è indubbiamente il
primo punto di accesso. Ma un mito da sfatare è che il mercato si
concentri tutto lì. Ci sono altre metropoli (definite city-cluster) come
Subaraya (5 milioni di abitanti), Bandung (6 milioni di abitanti) e
Samarang (1,5 milioni) nell’Isola di Giava che è anche la più densamente
popolata. Medan (4 milioni), Pekanbaru (900mila abitanti) Palembang
(1,4 milioni) rispettivamente a nord, nel centro e a sud di Sumatra,
Batam (1,5 milioni) sull’Isola omonima vicino a Singapore, Makassar (1,3
milioni) a Sulawesi e Balikpapan nel Borneo (800mila abitanti). E
l’urbanizzazione sta crescendo. Nel 2030 si calcola che l’86% della
popolazione vivrà nelle città.
Cosa acquistano
La
voce più importante rilevata dall’indagine di Mc Kinsey che ha
intervistato oltre 5mila consumatori “middle class” in 43 diverse città è
l’alimentazione per un mercato specifico che viene valutato in 75
miliardi di dollari. Con un incidenza diversa a seconda delle fasce di
reddito: dal 41% per le famiglie con redditi annui attorno ai 9mila
dollari scende al 18% per quelle con redditi tra i 20 e i 70 mila
dollari anno. Seguita da divertimenti e tempo libero (in cui sono
inclusi ristorazione, viaggi ecc) con 26 miliardi, abbigliamento con 22
miliardi, prodotti per la persona (6 miliardi) e salute (4 miliardi). Il
resto della spesa sono casa, trasporti, formazione. In tutti i
segmenti, tranne che nei trasporti, affitti e utenze, i tassi annui di
crescita superano il 5%.
I clienti sono attentissimi alle promozioni, valutano
e confrontano i prezzi ma sono estremamente sensibili anche al richiamo
dei marchi e in genere piuttosto fedeli alle scelte effettuate. Molto
più degli acquirenti cinesi, secondo Mc Kinsey sotto entrambi gli
aspetti. Peraltro con significative differenze: il richiamo è più forte
nelle città al di fuori di Jakarta dove gli acquirenti sono invece più
disinvolti nelle scelte. Resta, sicuramente, una forte attrazione verso marchi stranieri incluso il made in Italy.
Ma anche i marchi locali, soprattutto nel settore alimentare, godono,
in alcuni casi, di grande popolarità. L’attenzione al “brand” insomma
non è necessariamente coniugata con l’esterofilìa.
Dove comprano?
Per
i prodotti di fascia alta (abbigliamento, calzature, elettrodomestici,
arredo) la strada maestra è rappresentata dai grandi centri commerciali,
da più di 160 ipermercati e da oltre 1100 supermercati regolarmente
frequentati dalla popolazione. La grande distribuzione copre ormai tutti
i maggiori centri urbani. Diverso il discorso per i prodotti da banco:
creme e cosmetici, bibite, conserve, biscotti e prodotti da forno,
dolciumi, gelati (quando esistono i banchi refrigerati) ecc. Qui il
campo si allarga con l’aggiunta dei cosiddetti minimarket. Sono più di
13 mila punti vendita pressoché monopolizzati da due grandi catene, Alfamarket e Indomarket,
a cui si aggiunge un numero più ridotto di cosiddetti “convenience
store” con un format sostanzialmente analogo (orario prolungato,
prodotti essenziali, superficie nell’ordine dei 100/300 m2). E poi c’è
l’immensa platea della cosiddetta distribuzione informale con 2,5
milioni di negozi di diverse dimensioni. Irraggiungibili? Non proprio.
Grandi gruppi come Coca Cola, Unilever e Nestlé che in Indonesia
chiudono i bilanci con margini del 40/50 per cento si sono organizzati
con strutture piramidali di agenti e distributori per raggiungere ogni
angolo del paese. E la stessa cosa è riuscita a fare l’italiana
Perfetti, leader di mercato per le gomme da masticare e collocata nel
gruppo di testa anche con le caramelle.
Come si contattano?
Il
primo strumento di promozione è pubblicità televisiva: il 95% degli
indonesiani di classe media possiede almeno un apparecchio televisivo e
il 96% delle persone guarda abitualmente almeno un programma tutti i
giorni. Seguono gli altri media: carta stampata e radio ma soprattutto
Internet. Il numero degli utenti in rete cresce del 20% ed entro il 2016
raggiungerà la soglia dei 100 milioni. Già oggi il 22% di questa fascia
di consumatori trascorre in media un’ora e mezzo navigando tra offerte,
siti informativi, blog e social networks. In particolare l’89% è
registrato su Facebook. In pratica, dopo gli USA oggi l’Indonesia è il
secondo Paese al mondo per numero di account. Il canale di accesso
preferito alla rete sono i cellulari. L’85% della popolazione urbana ne
possiede uno (la media nazionale è del 60%) e ormai più di un terzo sono
smartphones. In pratica, nella telefonia portatile, l’Indonesia è
passata direttamente alla seconda e terza generazione.
Industria e mercato delle moto e dell’auto
Un gigante su due ruote
L’Indonesia
è già oggi un gigante mondiale nel settore due ruote, sia in termini di
mercato che di produzione. I numeri sono di tutto rispetto: oltre 8 milioni di moto prodotte e vendute all’anno.
Solo Jakarta, con 1,2 milioni di pezzi all’anno supera (in quantità,
non certo in valore) l’intero mercato europeo. Qui, finora, i giapponesi
hanno fatto da padroni. Honda e Yamaha da sole coprono il 95% delle
vendite, che diventa il 98% con Kawasaki. Ma anche nel settore dell’auto l’Indonesia ha numeri tutt’altro che trascurabili: oltre un milione di veicoli prodotti nel 2012
di cui 740mila vetture passeggeri, oltre 280 mila tra pick up e veicoli
commerciali con portata inferiore a 10 tonnellate, e 40mila tra camion e
autobus in aumento di 220 mila unità sull’anno precedente. Le
immatricolazioni ammontavano a 116mila unità con un aumento di 130mila
unità. Il Paese quindi è diventato esportatore netto.
I produttori cinesi (e taiwanesi) entrati sul mercato
una decina di anni fa sono scomparsi. Avevano fatto crollare i prezzi
ma la qualità era pessima: chi comprava alla fine scopriva che, incluso
il costo delle riparazioni, di moto doveva comprarne tre. E così Made in
Japan, ha raccolto i frutti: ha abbassato i prezzi di listino e si è
ripreso il mercato che nel frattempo è raddoppiato. Nel comparto
dell’auto la situazione è analoga: Toyota da sola copre il 40% delle
vendite. Aggiungendo Daihatsu, Mitsubishi e Suzuki si arriva all’80%.
Tra i non giapponesi i numeri più significativi sono quelli di Kia
Motors: 1,4%. Il forte predominio giapponese in entrambi i settori pone
evidenti limiti alle possibilità di ingresso delle aziende italiane
delle corrispondenti filiere produttive: componentistica, sistemi di
produzione, attrezzature per garage e officine. Ma le opportunità non
mancano, bisogna sapere però dove si collocano.
Dimensione ASEAN
Il mercato “automotive” è uno dei settori in cui hanno avuto maggiore impatto gli accordi di libero scambio tra i Paesi Asean (AFTA: Asian Free Trade Agreements) che danno
diritto a esportare a tariffa zero veicoli moto e componenti per i
quali è possibile dimostrare che il 50% del valore aggiunto è stato
realizzato all’interno dell’area. Questo ha consentito ai
costruttori enormi economie di scala, una specializzazione dei
rispettivi stabilimenti, un ampliamento degli sbocchi e il
consolidamento di “supply chains” e di distretti di produzione
competitivi a livello mondiale. Cogliendo anche le opportunità
specifiche di ogni Paese, la Thailandia parte in posizione nettamente
avvantaggiata. Con 2,5 milioni di veicoli prodotti si colloca in prima
posizione tra i Paesi dell’area e al quinto nel Mondo per i veicoli
commerciali leggeri. E’ anche in netto vantaggio sotto il profilo
ambientale: nel Paese per i veicoli nuovi, sono in vigore le norme Euro 4
che invece Jakarta (attualmente Euro 2) prevede di adottare non prima
del 2015. Ma anche l’Indonesia dispone di forti vantaggi competitivi:
accanto alle dimensioni e alla crescita del mercato interno, anche il
costo decisamente più ridotto della manodopera e il prezzo dell’energia
(8 centesimi di dollaro per kWh in media) tra i più contenuti dell’area
Asean e decisamente inferiore anche a Paesi come Cina o India.
La componentistica deve crescere
Secondo
Hadi Surjadipradja presidente dell’Associazione indonesiana dei
produttori di componenti auto (GIAMM: Association of Car and Motorcycle
Equipment Industries) l’anello debole del sistema è la componentistica.
Con un numero di aziende decisamente più ridotto rispetto alla
Thailandia, Giamm conta circa 155 aziende associate rispetto alle oltre
400 dell’equivalente indonesiana (TAPMA: Thai Autoparts Manufacturers
Association). Si aggiungono 800 aziende classificate come fornitrici di
secondo e terzo livello con livelli di automazione decisamente ridotti
come emerge anche dal numero dei dipendenti occupati: circa 650mila.
Sono aziende che in molti casi si limitano a coprire il mercato della
ricambistica non OEM. La sfida, secondo Surjadipradja è invece di far
emergere un nucleo ‘forte’ di operatori disposti a giocare fino in fondo
la carta del mercato Asean che nel suo complesso ammonta a circa 2,6 milioni di veicoli prodotti ogni anno e a 3 milioni di veicoli venduti.
Si aggiungono le opportunità aperte sugli altri mercati asiatici (Cina,
Giappone, Corea del Sud) a cui Indonesia e Thailandia sono legati da
accordi di libero scambio. Ma occorre una forte immissione di tecnologia
imposta dagli standard di qualità richiesti dai costruttori e dalle
normative tecniche. A cui si aggiungeranno, nel prossimo futuro anche
quelle imposte dalle Autorità locali intenzionate a imporre specifiche
prescrizioni (Indonesian Standards) per i veicoli immatricolati nel
Paese. Riguardano freni, vetri e pneumatici, cinture , paraurti, aibags
ecc.
Tecnologia cercasi
I numeri quindi ci sono e le opportunità non mancano. In particolare, con l’obiettivo di rafforzare il settore , il Governo di Jakarta, che punta al traguardo di una produzione annua di 1,7 milioni di veicoli entro il 2015, ha
deciso di esentare da dazi e imposte l’importazione di macchinari da
parte di aziende locali impegnate ad aumentare almeno del 30% la
capacità produttiva. Un ulteriore porta di ingresso può essere
data dalle fornitura di tecnologia e know how per i produttori di
veicoli elettrici e a basso impatto ambientale (metano, biodiesel ecc.)
che il Governo di Jakarta ha deciso di incentivare. Più complessa la
sfida per i produttori italiani di componentistica che per avere una
reale presenza sul mercato dovrebbero decidere di localizzare almeno in
parte la produzione. Tra le aziende italiane è il caso ad esempio di
Pirelli che sta aprendo uno stabilimento di gomme per moto di grossa
cilindrata destinato a coprire l’intero mercato Asean, in joint venture
con il gruppo Astra, che in Indonesia è azienda leader non solo nella
componentistica ma anche nelle reti di vendita e assistenza. Infine, lo
stesso Governo, ha deciso di esentare dai dazi di importazione i veicoli
pesanti e bus da assemblare localmente (IKD: incomplete knocked down) e
appare intenzionato ad estendere la stessa agevolazione anche per le
vetture che, in versione IKD, pagano un dazio del 7,5%.
Piaggio pronta a raddoppiare
L’industria
europea, complessivamente, si è mossa con grande ritardo su questo
mercato dove è presente con quote trascurabili. E quasi esclusivamente
sulla fascia alta con marchi come Audi e BMW. Nel settore due ruote un
importante eccezione e invece il gruppo Piaggio impegnato nella
costruzione di una forte presenza commerciale basata su una quarantina di concessionari che hanno accettato senza difficoltà di investire nell’allestimento degli spazi.
La rete della casa di Pontedera ormai copre tutte le isole: Sumatra,
Giava, Bali, Sulawesi Kalimantan e una decina di città. Resta esclusa
solo Papua Nuova Guinea. Il Gruppo italiano può contare su una grande
immagine ereditata dal passato e oggi l’Indonesia viene subito dopo l’Italia per numero di Vespa Club in attività tanto
che i modelli d’epoca sul mercato locale si vendono a diverse migliaia
di dollari. Su scala più grande lo sbarco in Indonesia duplica
l’operazione già riuscita in Vietnam dove Piaggio ha avviato con
successo nel 2008 uno stabilimento già in fase di raddoppio riuscendo a
creare un mercato ‘premium’ prima inesistente. La considerazione di
fondo è che nella maggior parte dei Paesi Asean il mercato dell’auto è
ancora prevalentemente di prima motorizzazione e quindi in forte
crescita. Invece quello delle due ruote ha ormai raggiunto una fase
stabile in termini di unità vendute. Si apre quindi lo spazio per
modelli più sofisticati anche in termini di immagine, che consentono
maggiori margini. Questa scelta è supportata da un ‘format’ commerciale
con caratteristiche inedite per questi Paesi: layout dei punti vendita
di livello elevato e riconoscibile, personale in divisa, gadget e
accessori marchiati, campagne d’immagine. Attualmente gli scooter sono
importati dal Vietnam in esenzione di dazio grazie agli accordi doganali
Asean. Il passaggio successivo però è già tracciato sulla carte: quando
le vendite cominceranno ad avvicinarsi alle 100mila unità anno, partirà
un nuovo stabilimento.
Tecnologie e macchinari
L’immagine forte del made in Italy
Le
aziende italiane sono state in passato (assieme a quelle tedesche e
giapponesi) le principali fornitrici di macchinari tessili, macchine
utensili, per lavorazione del legno, cuoio, plastica, ceramica, marmi e
per l’industria alimentare dell’Indonesia. Acquisendo una notorietà e un
livello di apprezzamento rimasti intatti fino a oggi. Da allora però
(si parla degli anni ‘80/’90) sono accadute molte cose: crisi asiatica,
svalutazione della rupia, sbarco in massa di fornitori cinesi e
taiwanesi con un’offerta di beni e macchinari a basso costo; ma anche
questa fase è ormai terminata e la bilancia, per molti aspetti si sta
riequilibrando. L’economia indonesiana è nuovamente in fase di rilancio:
industria dell’auto e delle due ruote, filiera tessile e
dell’abbigliamento, calzature, elettronica, edilizia e costruzioni, beni
di largo consumo agricoltura e trasformazione alimentare. E’aumentato
in misura consistente il numero di consumatori di classe media e quindi
sono cresciute le esigenze in termini qualitativi. All’industria servono prodotti e tecnologie affidabili,
mentre l’esperienza fatta dalle imprese indonesiane con il made in
China non è sempre positiva. Soprattutto nei macchinari: costano tuttora
meno (anche se le differenze si stanno riducendo) ma rendono e durano
anche molto meno. Si guastano più facilmente e a conti fatti, molte
volte, il vantaggio si rivela inesistente.
Di qui una nuova finestra di opportunità che i
costruttori di macchinari giapponesi, sudcoreani, tedeschi, svizzeri,
stanno già cogliendo. In tutti i settori di attività è infatti
individuabile una fascia di aziende locali ben posizionate, con
situazione finanziaria solida, disposte a investire in tecnologie che
garantiscano performance e livelli di qualità adeguati. Il mercato, in
sostanza, si sta diversificando ed è diventato molto più professionale.
Quali spazi e in quali settori per le aziende italiane?
Macchinari per l’industria alimentare
Le
nuove opportunità nascono da un duplice movimento: l’aumento dei
redditi nel Paese e quindi della spesa alimentare della popolazione e la
visibile insufficienza di un’adeguata offerta locale di prodotti. Nei
supermercati indonesiani si trovano acque minerali, succhi di frutta e
prodotti al cioccolato importati (anche dall’Italia). Ed è un paradosso
in un Paese che non manca certo di fonti di acqua, produzioni frutticole
e che è anche il primo produttore mondiale di polvere di cacao.
Paradosso che il Governo indonesiano si propone di superare con il Piano
pluriennale di sviluppo avviato nel 2011 in cui sono identificate le
aree dove concentrare lo sviluppo dell’industria alimentare, dotandole
delle necessarie infrastrutture per un rapido invio dei prodotti.
Tradotto in termini di potenzialità di mercato per le aziende italiane,
l’intero scenario propone un ampio spazio per la
fornitura di catene del freddo, macchine per imbottigliamento e
packaging, impianti per panificazioni, prodotti da forno e paste
alimentari il cui consumo in Indonesia è in costante crescita
con ‘noodles’ e altri formati a base di grano ma anche tapioca, riso e
altri cereali spesso in abbinamento con spezie che ‘caratterizzano’ il
prodotto.
Industria della ceramica
“L’Indonesia
è il primo mercato di piastrelle e materiali da costruzione dell’intero
sudest asiatico con una lunga tradizione nel settore”, spiega Luca Ferraris, manager del gruppo Sacmi, che aggiunge, “da
due anni ormai stiamo assistendo a una significativa ripresa degli
investimenti. Certo, la concorrenza cinese si fra sentire e incide sui
margini con cui operiamo e che non possono essere più quelli del
passato. Ma per investitori che puntano sulla qualità del prodotto, le
nostre macchine sono ancora il punto di riferimento”. Sacmi è
presente nel Paese anche con una piccola fabbrica per la produzione di
stampi, tamponi e materiali di consumo con una cinquantina di
dipendenti.
Lavorazione marmo e graniti
Marmi
e graniti provenienti in larga parte dalle cave situate nell’isola di
Sulawesi, sono largamente impiegati nel Paese che sta vivendo un forte
boom edilizio. Ormai la maggior parte delle macchine per taglio blocchi e
successiva lavorazione (inclusi materiali di consumo, come le seghe
diamantate) proviene dall’Asia: Taiwan, Cina. E alcune tipologie più
semplici (macchine da cava) sono anche prodotte localmente. Il made in
Italy (che ha consentito in passato il decollo dell’industria locale) è
ancora largamente presente sul mercato dell’usato. Ma su quello del
nuovo è attualmente confinato ad alcune nicchie a maggiore valore
aggiunto. Ad esempio: macchine a controllo numerico a 5 assi, torni per
la lavorazioni di colonne e via dicendo. Per contrastare la supremazia
cinese su questo mercato occorre una maggiore presenza sul posto, anche
perché buona parte del settore del marmo è in mano alle comunità cinese e
con la Cina esiste ormai un redditizio mercato per l’esportazione di
blocchi che consente ai produttori indonesiani di finanziare il rinnovo
del parco macchine con operazione di countertrade sulla base di
contratti pluriennali.
Packaging
Con
un fatturato pari a 4,4 miliardi di dollari, in crescita dell’11% su
base annua, l’industria del packaging è uno specchio fedele dell’attuale
dinamismo dell’economia indonesiana. L’attività è trainata da due
settori chiave: l’industria alimentare che ha un fatturato annuo pari a 73 miliardi di dollari con una crescita annua attorno al 10% e la farmaceutica
(4,3 miliardi) con un trend di crescita ancora superiore (12%). Insieme
coprono il 70% del fabbisogno. I dati sono forniti dalle due
associazioni di settore. La tecnologia è in gran parte importata e le
cifre sono significative: 360 milioni di dollari il dato 2011 (il 2012
non è ancora disponibile). Riguardano tutte le filiere: imbottigliamento
e riempimento, confezionamento, etichettatura. L’Italia è ben
posizionata con esportazioni per oltre 70 milioni e una quota di mercato
in crescita, preceduta dalla Germania (90 milioni) ma nettamente
davanti al Giappone (30 milioni). Avanza la Cina su livelli analoghi a
quelli nipponici, e un trend crescente come il nostro.
Energia
La ricchezza da sola non basta
Può
sembrare un paradosso: l’Indonesia è stata tra i fondatori dell’OPEC, è
il primo esportatore mondiale di carbone (350 milioni di tonnellate
anno), detiene il 40% delle risorse mondiali di energia geotermica, è il
terzo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto, dispone di un
grandissimo potenziale nel settore delle energie rinnovabili (biomasse,
eolica, solare) eppure il Governo di Giakarta spende 17 miliardi di
dollari all’anno per sovvenzionare l’energia; un terzo della popolazione
continua a non avere accesso alla rete elettrica e spesso le imprese
che operano nel Paese devono organizzarsi con generatori di supporto per
fare fronte alle interruzioni di rete. Le spiegazioni non mancano:
assetto geografico del Paese suddiviso in grandi e piccole isole,
lontananza dei giacimenti dai centri di maggiore consumo, “anni perduti”
(in particolare gli ultimi) della dittatura del generale Suharto in cui
non sono stati fatti investimenti strategici e soprattutto forte
aumento del fabbisogno che ha mutato i termini dell’equazione: un Paese
orientato a esportare le sue risorse si è trovato ad averne bisogno per
il proprio sviluppo. Non è un fatto nuovo: è accaduto, negli anni
novanta, anche in Cina. Le Autorità indonesiane ne sono consapevoli e
hanno iniziato ad affrontare il problema anche se i tempi per l’avvio
dei nuovi progetti annunciati scontano tempistiche, contraddizioni e
resistenze di un apparato amministrativo e di un sistema politico
complessi.
Sistema elettrico
La
potenza installata, che negli ultimi 10 anni è aumentata del 25%,
ammonta attualmente a 44mila Megawatt di cui il 40% è alimentato a
carbone, il 29% a petrolio, il 21% a gas l’8% sono impianti
idroelettrici e il 2% geotermici. L’intero settore (produzione,
trasporto, distribuzione) fa capo per il 90% a PT PLN (Perusahaan Listrik Negara).
Obiettivo del Governo è di riuscire, entro il 2020 ad allacciare alle
reti elettriche il 90% della popolazione (attualmente la copertura è del
70%) e di far fonte all’aumento dei prelievi che crescono del 5%
all’anno, con conseguenti investimenti, nelle reti di trasporto e
distribuzione e in nuove centrali. Sono circa 10mila Megawatt
addizionali che vanno a completare un programma di potenziamento da
20mila Megawatt avviato nel 2006. A cui dovrebbero aggiungersi, nei
prossimi tre/quattro anni ulteriori 10 mila Megawatt da fonti “pulite”:
gas e rinnovabili. Per incentivare gli investimenti e accelerare la
costruzione di nuovi impianti anche con l’apporto di capitali privati, il Governo sta mettendo a punto un nuovo sistema di tariffe incentivanti
(FIT: fit in tarifs) per la cessione a PT PLN. Non è comunque un
problema di facile soluzione in quanto le attuali tariffe FIT, pari, in
media, a 10 centesimi di dollari per kWh, sono decisamente superiori a
quelle praticate al consumo (circa 7 cents) con il risultato che la
differenza viene versata a PT PLN sotto forma di sovvenzioni che costano
al bilancio dello stato 8 miliardi di dollari all’anno.
Fonti rinnovabili
Di
particolare rilievo i programmi nel settore geotermico dove la potenza
installata dovrebbe crescere nei prossimi anni dagli attuali 1.400 a
4.000 Megawatt con una serie di progetti avviati grazie anche al
contributo della cooperazione neozelandese, per poi raddoppiare nel
decennio successivo fino a raggiungere i 10.000 Megawatt. Le risorse
sfruttabili in questo settore, secondo il Governo di Jakarta (Ministero
dell’Energia) ammontano a 28.000 megawatt. Decisamente sottoutilizzato
anche il potenziale idroelettrico calcolato in 76.000 Megawatt mentre il
parco attualmente installato ammonta a 5.700 Megawatt. Ovviamente il
problema maggiore, in entrambi i casi è rappresentato dalla dislocazione
delle risorse, generalmente molto distanti dai centri di consumo e
spesso localizzate in zone “sensibili” sotto il profilo ambientale. Di
grande interesse anche la filiera delle biomasse con un potenziale (scarti della produzione di riso, olio di palma, zucchero ecc.) valutato in 50.000 Megawatt, nonché quella eolica e solare che, allo stato attuale sono sostanzialmente inesplorate.
Il potenziale eolico, tenuto conto dei 54mila chilometri di coste del
Paese viene valutato tra i 10.000 e i 35.000 Megawatt. Ma, ad oggi, nel
Paese è installato solo un impianto dimostrativo. Il tasso di
irradiazione medio del Paese (4,8 kWh per m2) e la dispersione della
popolazione rurale indicano anche un grande spazio aperto per la
diffusione del fotovoltaico. Di fatto, anche in questo caso, la capacità
installata non supera i 12 Megawatt. Il motivo è in buona parte
imputabile alla mancanza di una sufficiente offerta locale di pannelli e
di servizi di installazione manutenzione nonché di sistemi e procedure
per la cessione alla rete.
Gas naturale
E’
la risorsa su cui il Paese sta puntando per risolvere alcuni dei nodi
più urgenti ed è anche un settore in cui le imprese italiane possono
cogliere importanti opportunità (impianti di trasporto, distribuzione,
apparecchi di misura, impianti a gas, filiera autometano). Le riserve
del Paese ammontano a 4mila miliardi di m3 anno, la produzione a 73
miliardi e le esportazioni (sotto forma di gnl) a 40 miliardi. Le
iniziative più importanti riguardano la costruzione di gasdotti
(attualmente la rete misura 3.500 chilometri) sia per il trasporto che
per la distribuzione, in modo da completare la copertura delle isola di
Giava e di Sumatra dove si concentrano gli utilizzi industriali. Si
aggiungono la costruzione di rigassificatori per
utilizzare anche il gnl proveniente da giacimenti lontani che finora era
destinato prevalentemente alle esportazioni e quella di nuove centrali a
ciclo combinato alimentate a gas per colmare in tempi brevi il gap
nell’offerta di energia elettrica.
Petrolio Carburanti
Oggi
l’Indonesia importa il 46% della benzina e il 14% del carburante diesel
consumati. Inoltre i prezzi al consumo sono fortemente sovvenzionati e
contribuiscono, assieme alle sovvenzioni per l’energia elettrica, a
sottrarre ogni anno 17 miliardi dalle entrate dello Stato. Attualmente
la capacità installata è di circa 1 milione di barili al giorno
suddivisi in 8 impianti gestiti dal gruppo Pertamina, che coprono solo
il 70% del fabbisogno del Paese. Il Governo ha messo a punto un progetto
per la costruzione di tre raffinerie da 300mila tonnellate di cui due
localizzate a Botang (East Kalimantan) e una a Sumatra. Dovranno essere
in parte alimentate da importazioni in quanto dal 2003 l’Indonesia, che
in passato era un importante esportatore di petrolio con una produzione
che nei primi anni ’90 aveva toccato 1,7 milioni di barili al giorno, è
diventata ormai, da dieci anni, importatrice netta per quantitativi
attualmente valutati in 400mila barili al giorno. Le riserve attuali
ammontano a 4 miliardi di barili ma il dato potrebbe ulteriormente
migliorare con la ripresa su larga scala dell’attività di esplorazione.
Filiera agroalimentare
Un colosso alimentare? In apparenza sì: primo produttore (ed esportatore) mondiale di olio di palma,
numero due mondiale per la gomma naturale e la manioca, al terzo posto
dietro India e Cina per il riso con 40 milioni di ettari di terre
coltivate e 90 milioni di ettari di foreste. Eppure chi va in un
supermercato indonesiano scopre che il 70% della frutta e della verdura
esposti sono importati dall’estero e lo stesso vale per buona parte dei
prodotti esposti: inclusi pomodori pelati e acqua minerale. Sono i
paradossi di un Paese che per lungo tempo ha avuto un’agricoltura
polarizzata in due direzioni: economia di autosussistenza e grandi
coltivazioni finalizzate all’export.
Lo scenario però negli ultimi anni è cambiato: ormai
la maggior parte della popolazione vive in aree urbane: cambiano quindi i
consumi e tutta la catena dell’approvvigionamento alimentare. Il Paese
sta iniziando ad adeguarsi al nuovo scenario sia pure con un inevitabile
ritardo e questo apre notevoli opportunità anche per le imprese
italiane in diversi settori: fornitura di macchinari e impianti per
l’agricoltura, l’industria di trasformazione e la logistica collegate
(esempio: catene del freddo). Si aggiunge la crescita di un nuovo
mercato per prodotti e specialità alimentari costituito da una crescente
fascia di consumatori di classe media
Nuovi consumi
In
media 37% della spesa delle famiglie Indonesia è coperta dai consumi di
alimenti freschi. Ma c’è fortissima propensione anche per prodotti
confezionati Alcuni esempi: le vendite di gelati sono esplose
nell’ultimo anno (+ 32%). Lo stesso è accaduto con prodotti tradizionali
come la pasta che però sono proposti in nuovi formati e con l’aggiunta
di diverse qualità o il caffè ormai venduto prevalentemente in versione
“instant coffee” (caffè solubile). L’indicazione che può essere estesa a
un vasto numero di categorie: ad esempio merendine, biscotti e prodotti
a base di cacao per i quali l’Indonesia registra il consumo pro capite
più alto dell’Asia.
Un futuro verde
Il
40% della popolazione indonesiana è oggi coinvolta nell’attività
agricola. Sulla base dei trend attuali, si prevede che nei prossimi
anni, con l’emigrazione verso le città, il numero subirà una forte
contrazione. Le aree coltivate attualmente ammontano a 40 milioni di
ettari di cui un terzo dedicato a riso e cereali. Un recente rapporto
sul settore di Mc Kinsey indica che nei prossimi 13 anni con una serie
di interventi mirati l’Indonesia potrebbe diventare un importante
esportatore netto per un totale di 130 milioni di tonnellate in aggiunta
a 180 milioni per coprire i consumi interni. In totale il valore della
produzione potrebbe raggiungere, ai prezzi attuali, 250 miliardi di
dollari rispetto agli attuali 70 miliardi. Questo con una transizione
verso coltivazioni a maggiore valore
La sfida della produttività
La
produttività del settore agricolo, in Indonesia, è ancora molto bassa:
3mila euro in media per addetto rispetto ai 9mila euro della vicina
Malaysia. Ma anche all’interno dello stesso Paese ci sono differenze
eloquenti: nella coltivazione della palma da olio le rese per ettaro
sono in media di 2,3 tonnellate per ettaro. Ma in alcuni programmi
sperimentali si è arrivati a 11 tonnellate. Questi dati indicano che ci
sono vasti spazi di miglioramento. Con quali interventi? Servono
evidentemente investimenti: infrastrutture di trasporto e stoccaggio
nelle aree rurali, sistemi di irrigazione (inclusa una migliore
manutenzione di quelli esistenti), utilizzo di sementi ad alto
rendimento, tecnologie aggiornate (es impianti a goccia) e macchinari,
migliore accesso al credito grazie anche a formule commerciali come il
contract farming per conto di multinazionali e catene di grande
distribuzione (diverse iniziative di questo tipo sono già state
avviate).
La ricchezza del mare
Il settore ittico
copre il 3% del Pil indonesiano e fornisce il 60% delle proteine
consumate dalla popolazione. Sono circa 22 milioni di tonnellate
prodotte ogni anno suddivise in parti sostanzialmente uguali tra
acquacoltura e pesca marina. In quest’ultimo settore però permangono
tecniche di pesca spesso inadeguate, c’è una forte carenza di
infrastrutture per lo stoccaggio, la corretta lavorazione e il trasporto
del prodotto e soprattutto mancano adeguati controlli che da un lato
impediscono uno sfruttamento razionale e compatibile delle risorse
esistenti nelle aree più frequentate, con il rischio di un rapido calo
delle riserve per l’eccesso di catture di alcune specie quali ad esempio
i tonni a pinna gialla. Mentre in altre aree esistono risorse tuttora
inutilizzate di specie da fondale (naselli, seppie, gamberi, seppie ecc)
che, secondo gli esperti, consentirebbero di aumentare la produzione
attuale del 20%. Vanno poi considerati i danni della pesca illegale (non
autorizzata) da parte di flotte straniere con perdite per le casse
dello Stato calcolate in 4 miliardi di dollari all’anno. Ma il
potenziale di crescita maggiore, in termini quantitativi, risiede nell’acquacoltura.
Si calcola che lungo le coste e nei fiumi siano disponibili 17 milioni
di ettari adatti a questo tipo di attività di cui solo una minima quota
(poco più di un milione di ettari) è effettivamente sfruttata,
prevalentemente per l’allevamento di gamberi. Anche in questo settore
sono possibili forti aumenti di produttività sull’esempio di quelli
conseguiti, ad esempio, in Thailandia.
Costruzioni e infrastrutture
Nel 2012 il fatturato dell’industria delle costruzioni indonesiana, in crescita del 7% su base annua, ha superato i 78 miliardi di dollari.
Il settore copre il 10% del Pil del Paese; nel 2008 non raggiungeva i
40 miliardi. Nei primi tre mesi del 2013 i consumi di cemento sono stati
di 12,5 milioni di tonnellate con una crescita del 18 per cento su base
annua e l’indice del settore costruzioni della Borsa di Jakarta, tra
ottobre 2012 e marzo 2013, è salito quasi del 50%. L’attività è trainata
dall’edilizia civile che in tutte le
sue componenti (residenziale, uffici, alberghi) si basa su fondamenti
solidi: elevato tasso di risparmio, forte domanda dei privati, costi dei
mutui generalmente sostenibili rispetto ai redditi, elevati margini
operativi di costruttori e developer.
La sfida delle infrastrutture
Ma c’è un’altra componente di grande rilievo per le aziende italiane interessate a operare con il Paese: sono le infrastrutture.
L’Indonesia, sotto questo profilo, si trova in forte ritardo rispetto
agli altri Paesi asiatici e il Governo ne è pienamente consapevole. In
particolare la parte più rilevante del piano di investimenti programmati per il prossimo decennio (MP3EI: Master Plan for the Acceleration and Expansion of Indonesia Economic Development) per un valore superiore ai 400 miliardi di dollari
che comprende uno sterminato elenco di progetti (più di 500) è dedicata
ai trasporti: autostrade reti urbane, ferrovie, porti e aeroporti da
realizzare, in buona parte sotto forma di Public Private Partenership. I
capitali per realizzare queste opere non mancano grazie al forte
interesse degli investitori asiatici, alla solidità finanziaria dello
Stato e al conseguente miglioramento creditizio del Paese. “Il
nostro problema non è la mancanza di soldi ma il fatto che non riusciamo
a implementare quello che abbiamo progettato. E sotto questo aspetto
dobbiamo cambiare”, ha rilevato lo stesso Presidente indonesiano,
Susilo Bambang Youdhoyono, presentando il Piano MP3EI. Le difficoltà
maggiori sono dovute a fattori ricorrenti nel contesto asiatico:
collusioni tra Amministrazioni e operatori privati, veti incrociati,
lunghi tempi necessari per l’approvazione dei progetti dovuti anche alle
resistenze della popolazione locale. Molte opere sono in forte ritardo
per questi motivi. E’ il caso della sezione occidentale della nuova
circonvallazione di Jakarta e dei 615 chilometri del sistema di
autostrade (costo: 5 miliardi di dollari) suddiviso in 20 tratte che
dovrebbe collegare le estremità dell’Isola Java da ovest a est: meno del
10% è stato ultimato e per metà del percorso devono ancora essere
acquisiti i terreni. Ma ci sono forti segnali che, anche sotto questo
profilo, lo scenario stia gradualmente cambiando, grazie anche alla
recente approvazione di una legge (National Land Acquisition Law) che
dovrebbe regolamentare le procedure di esproprio (e sperabilmente di
compensazione). Inoltre il Governo ha deciso di stabilire delle priorità. In particolare sta mettendo a punto un programma di 40 progetti definiti come “prioritari” da realizzare nell’arco dei prossimi 5 anni (entro il 2017) dei quali una quindicina saranno finanziati da imprese di Stato.
Nuovi progetti in fase di avvio
Il programma di spesa per le infrastrutture indicato dal ministero dei Lavori Pubblici per il 2013 ammonta a 51 miliardi di dollari di cui 20 dovrebbero provenire da stanziamenti statali. Nel
2012 sono iniziati i lavori di raddoppio in più tranches, delle
strutture del porto di Jakarta con un investimento totale previsto in
4,5 miliardi di dollari. In fase di avvio anche i lavori per la
realizzazione del Terminal 3 dell’aeroporto della capitale
(Soekarno-Hatta Airport). Entro breve lo Stato dovrebbe avviare il
processo di aggiudicazione delle concessioni per sei diverse autostrade urbane
a pagamento a Jakarta mentre, sempre a Jakarta, uno dei progetti più
rilevanti che dovrebbe essere realizzato anche con contributi della
cooperazione giapponese, è una metropolitana leggera
sopraelevata (Mass Rapid Transit line) di 15 chilometri con eventuale
prolungamento di ulteriori 8 chilometri e un investimento previsto di
1,7 miliardi di dollari. Le trattative sono in corso con
l’Amministrazione della capitale e due consorzi di costruttori (uno di
aziende statali e uno di operatori privati) per ridurre i costi.
Recentemente il sindaco della capitale ha deciso di rilanciare anche il
progetto di costruzione di un grande sistema di dighe (Giant Sea Wall) per proteggere Jakarta dalle inondazioni con un investimento previsto attorno ai 15 miliardi.
Procede anche il progetto di un ponte stradale e ferroviario che
dovrebbe collegare Sumatra con Giava. Il presidente Bambang Yudhoyono ha
ripetutamente dichiarato che vorrebbe avviare i lavori nel 2014. In
entrambi i casi si tratta di opere di grande impegno con investimenti
previsti attorno ai 15 -20miliardi di dollari ciascuna. Infine il
progetto più impegnativo prevede di coprire l’intera isola di Sumatra
con un nuovo sistema autostradale di 2 mila chilometri da realizzare in
più tratte, con un costo previsto di 35 miliardi di dollari (Trans
Sumatra Toll Road).
Ferrovie
Tra le opere in corso di realizzazione nel settore ferroviario la più importante riguarda il collegamento di 700 chilometri a doppio binario tra Jakarta e Surabaya (Trans-Java
Pantura railway). Circa 430 chilometri restano da completare. Lungo la
linea potranno transitare fino a 200 treni al giorno. I collegamenti
attuali tra le due città seguono attualmente due percorsi diversi con
una capacità massima di 64 convogli. La velocità di percorrenza scenderà
da 11 a 9 ore. La linea prevede anche un traffico merci di un milione
di container anno. Due linee di cui una ad alta velocità (2 miliardi di
dollari) e una per il traffico pendolari (250 milioni), sono programmate anche per il collegamento di Jakarta con l’aeroporto. Più in là nel tempo è previsto anche il collegamento ad alta velocità tra Jakarta e Bandung, con il supporto della cooperazione giapponese. Costo previsto: 6,7 miliardi di dollari.
I progetti restanti per un importo superiore a
8 miliardi di dollari sono prevalentemente finalizzati al trasporto del
carbone estratto dai giacimenti interni del Paese. Entro il
2013 dovrebbe essere designato il consorzio per la costruzione di una
linea di 385 chilometri che collegherà le miniere situate nel centro del
Borneo (Kalimantan) con il porto di Batanjung. Costo indicativo: tra
2,3 e 3,3 miliardi di dollari. In fase di definizione anche un progetto
carbonifero integrato da 2,4 miliardi di dollari, gestito dal gruppo
privato Rajawali. Prevede la costruzione di una linea di 300 chilometri
per il trasporto del carbone estratto nel centro di Sumatra verso la
costa. Sarà finanziato dalla Cina che importerà anche il 50% della
produzione. Altri due progetti analoghi, finanziati uno dalla Russia
(Balikpapan coal railway) e uno dagli Emirati Arabi (Bengalon coal
railway) per complessivi 3 miliardi di dollari sono invece programmati
nel Borneo.
Costruttori statali e stranieri
Il settore delle costruzioni locali è dominato da tre grandi gruppi a controllo statale ma quotati in Borsa: Wijaya Karya (WIKA), Adhi Karya (ADHI) e Pembangungan Perumahan
(PTPP). Operano sia nel settore civile che in quello delle
infrastrutture e godono tutti di eccellente salute. Nel 2012 hanno
chiuso i bilanci con risultati in forte crescita il cui ricavato servirà
per finanziare nuovi progetti. Adhi Karya che, stando ai preconsuntivi
di fine anno, avrebbe aumentato i profitti del 192%, punta ora a
rilanciare un progetto di monorotaia nel centro di Jakarta, con due
linee per complessivi 28 chilometri, avviato una decina di anni fa e poi
abbandonato, con un investimento previsto di circa 1,2 miliardi di
dollari. Pembangungan Perumahan (PTPP) con utili in crescita del 73% su
base annua, ha accumulato consistenti disponibilità liquide con cui sta
avviando nuovi iniziative di sviluppo immobiliare e nel settore delle
autostrade a pagamento. Grazie ai rapporti agevolati con
l’amministrazione queste società sono anche i partner privilegiati per le società di costruzione straniere che intendono entrare sul mercato
con particolare riguardo al settore infrastrutture. Dove, in numerosi
casi, hanno bisogno di un apporto tecnologico esterno sia in fase di
progettazione che di costruzione Questo spiega anche la forte presenza
sul mercato indonesiano di costruttori stranieri, in prevalenza giapponesi, che coprono il 60% del mercato dei grandi lavori assegnati in regime di Public Private Partnership.
Costruttori privati e subcontractor
Il
quadro dei costruttori privati locali è polarizzato tra un ristretto
numero di grandi gruppi che operano nel settore civile anche con opere
di buon livello qualitativo come Total Bangun Persad o attive nel settore delle infrastrutture (soprattutto autostrade a pagamento) come Citra Marga Nusaphala Persad
che sta avviando la costruzione di una nuova autostrada che collegherà
Jakarta con la parte occidentale di Java. Seguite da un vasto numero di
imprese minori (se ne contano 58 mila) che però hanno generalmente una
capacità limitata sotto il profilo tecnico, anche per mancanza di
risorse umane adeguatamente preparate; e questo può creare problemi in
quanto la normativa locale impone ai ‘contractor’ stranieri di
ricorrere a subappalti locali per opere di valore superiore ai 100
milioni di euro. Alcune imprese indonesiane operano anche nei
Paesi del Golfo e nel sudest asiatico Ma sono pochi gli ingegneri
indonesiani in possesso del certificato di qualifica (Chartered
Professional Engineer certificate) riconosciuto dall’insieme dei Paesi
ASEAN.
Materiali da costruzione
Uno dei principali colli di bottiglia del mercato indonesiano è l’approvvigionamento di materiali, i cui costi sono in forte aumento, dovuto all’insufficienza sia qualitativa che quantitativa dell’offerta interna e
agli elevati costi della logistica che spesso rendono più conveniente
l’importazione via mare dall’estero, rispetto al ricorso a fornitori
locali. Il problema investe tutta la filiera: dai prodotti di base come
il tondino e i profilati in acciaio, a particolare tipi di cemento, alle
tecnologie costruttive più avanzate (fondazioni, tunneling ecc), ai
diversi moduli e componenti inclusi infissi e pavimenti ed impiantistica
civile. Questi aspetti rappresentano indubbiamente un’ulteriore opportunità per le imprese italiane
interessate a operare nel Paese, che possono proporsi attraverso
diversi canali: fiere di settore come IndoBuildTech che si tiene
generalmente in marzo, contatti diretti con le maggiori imprese di
costruzione e gli studi di ingegneria e di architettura o anche con le
principali associazioni di categoria tra cui AKI (indonesian Contractors
Association) e IAI (Indonesian Institute of Architects).
Come insediarsi sul mercato
I
soggetti non residenti (società e persone fisiche) possono operare in
Indonesia in un vasto numero di attività ma esistono anche significative
restrizioni che riguardano ad esempio le attività riservate per legge alle piccole e medie imprese e alle cooperative, settori
in cui è obbligatoria la presenza di partner locali e/o in cui il
partner straniero non può acquisire quote di maggioranza, e
settori (professioni incluse) riservati solo a soggetti residenti. Quale
che sia la formula societaria prescelta tutte le attività che fanno
capo a soggetti non residenti richiedono un’iter di approvazione
specifica da parte di un organismo specifico: l’Investment Coordinating Board (BKPM).
Società a responsabilità limitata (PT: Perusahaan Terbatas)
E’
la formula societaria più comune. Nel caso di partecipazione o
controllo estero sono costituite sotto forma di PT PMA. Le normative
indonesiane forniscono solo indicazioni molto generali relativamente
allo statuto e agli organi societari: Consiglio di Direzione, incaricato
della gestione ordinaria, il Consiglio di sorveglianza con funzioni di
controllo ed eventualmente indirizzo strategico e l’Assemblea dei soci.
Questi organismi possono anche essere costituiti in forma ridotta con un
direttore, un commissario e almeno due soci. Per le PT PMA non ci sono
prescrizioni specifiche riguardo alla nazionalità dei componenti degli
organi sociali che possono essere anche stranieri.
Partnership
Sono
la versione indonesiana delle società di persone a responsabilità
illimitata regolamentate dal Codice Civile. Di fatto le politiche del
Governo (autorizzazioni ecc.) impediscono la partecipazione estera a
queste società, benché non la escludano in linea di principio. Le
procedure di costituzione sono molto semplici: in sostanza basta un atto
notarile. Esistono sotto tre forme: Partnership civili (Persekutuan Perdata o PP) generalmente utilizzate per operazioni specifiche da effettuarsi in un arco di tempo limitato: Partnership commerciali
(Firma o Fa) largamente impiegate in attività commerciali e di servizio
in cui ciascuno dei partner può assumere obbligazioni che coinvolgono
anche gli altri partecipanti; Partnership in accomandita
(Persektuan Komanditer o CV) che prevedono partner che si limitano al
semplice apporto di capitale senza assumere responsabilità di gestione.
Uffici di rappresentanza
Hanno
una sfera di attività consentite molto limitata: ricerche di mercato,
promozione, controllo di qualità, ricerca clienti ecc. E’ prevista anche
la costituzione di uffici di rappresentanza regionali che possono
esercitare un’attività di controllo e coordinamento di attività nei
mercati limitrofi, oltre all’Indonesia. Poco conveniente è invece la
costituzione di filiali di società estere, sottoposte a un addizionale
del 20% sugli utili rimpatriati, in aggiunta alla normale aliquota del
28% sui ricavi netti.
Fisco e imposte
Qualsiasi
attività economica svolta in Indonesia (inclusi uffici di
rappresentanza) è sottoposta alla tassazione sui redditi societari (che
includono anche i capital gain). I benefit per i dipendenti in genere
non sono detraibili. Le perdite possono essere riportate in bilancio
fino a un massimo di 5 anni. L’aliquota è del 28% ma si riduce del 5%
annuo per investimenti effettuati in attività e/o aree il cui sviluppo è
promosso dal Governo sulla base di una lista di settori specifici o di
località considerate come svantaggiate. Ulteriori agevolazioni sono
l’importazione in esenzione di dazio di attrezzature e materiali, la
possibilità di effettuare ammortamenti anticipati, la riduzione al 10%
della ritenuta sugli utili rimpatriati. Analoghi benefici sono previsti
per le attività insediate nelle 25 Zone economiche integrate
(Kapet: KawasanPengembangan Ekonomi Terpadu). Per alcune attività che
vengono considerate innovative (pioneering industries) è possibile
ottenere un’esenzione di 10 anni dalla tassazione sui redditi e una
riduzione del 50% per altri due, ma devono comportare un investimento
minimo di 1.000 miliardi di rupie (102 milioni di dollari). I criteri
per identificare queste società sono molto generali: in sostanza devono
avere un valore ‘strategico’ per lo sviluppo economico del Paese.
Rientrano in questa classificazioni società che operano nei settori
minerario (estrazione idrocarburi inclusa), della meccanica strumentale,
telecomunicazioni, energie rinnovabili e che introducono nuove
tecnologie.
IVA e imposte diverse
L’IVA è pari in media al 10% ma sono esenti diverse categorie di beni strumentali importati.
Particolari esenzioni e agevolazioni sull’IVA (e sui dazi) sono
previste per le società con attività prevalentemente orientate
all’export, che operano in regime di zona franca (KB) o di traffico di
perfezionamento passivo (Kite: Kemudahan Impor Tujuan Ekspor) o che sono
insediate nelle tre Free Trade Zones di Batam, Bintan e Karimun,
tutte nelle arcipelago delle Riau vicino a Singapore. Esenti da IVA
anche numerosi servizi (es leasing, attività mediche, di formazione
ecc). In cambio altre attività (soprattutto commerciali turistiche) sono
sottoposte a tassazione locale, in genere nell’ordine del 10%. Su
alcuni beni di lusso (dai profumi alle auto e moto di grossa cilindrata)
è prelevata una tassa sulle vendite che può variare dal 10% al 75%. Da
mettere in conto anche la tassa sugli immobili pari allo 0,5% del valore
catastale equivalente in media al 40% del valore di mercato (ma i
parametri possono subire consistenti variazioni). I redditi individuali,
a partire da 15,8 milioni di rupie annue (1.780 dollari) sono
sottoposti a tassazione progressiva che va da un minimo del 5% a un
massimo del 30% per la quota di reddito che supera 500milioni di rupie
(54mila dollari).
Operazioni con l’estero
La
rupia indonesiana è liberamente convertibile. Le operazioni in valuta
non sono soggette a particolari restrizioni ma richiedono una
impegnativa attività di reporting alla banca Centrale che svolge una
funzione di controllo sull’effettuazione di tutti gli adempimenti
fiscali relativi alle operazioni sottostanti. Le società residenti sono
tassate sul reddito globale, incluso quindi quello realizzato
all’estero, ma le imposte pagate in altri Paesi sono generalmente
riconosciute in deduzione qualora esistano accordi bilaterali per
evitare la doppia imposizione (sotto questo profilo l’Indonesia appare
abbastanza coperta, anche con l’Italia). I transfer price applicati
all’interno di gruppi multinazionali con attività in Indonesia possono
essere oggetto di definizione preliminare con le Autorità fiscali. I
dividendi, interessi e management fees versati a soggetti non residenti
sono sottoposti a una ritenuta del 20%. Il pagamento di royalties è
sottoposto a una ritenuta del 15% se effettuato verso un soggetto
residente e del 20% se straniero. Il personale espatriato che risiede in
Indonesia per oltre 183 giorni all’anno è sottoposto a tassazione
locale. I capital gain realizzati da non residenti sulla vendita di
titoli indonesiani subiscono un’imposta del 5%.
Risorse umane e costo del lavoro
La
forza lavoro in Indonesia è mediamente più giovane (28 anni) rispetto
alla Cina (35 anni), e anche il costo è nettamente inferiore. Il
differenziale appare destinato a durare nel tempo, tenuto conto dei
trend demografici. Il salario minimo legale varia a seconda delle località e va da 675 mila rupie nel centro di Giava (75 dollari) a 1.290.000 rupie a Jakarta (142 dollari)
e quello effettivo non è molto superiore (attorno al 10/15 per cento in
più). Per personale esperto e impiegati si può salire del 30% circa. I
contributi sociali obbligatori a carico del datore versate all’Ente
previdenziale nazionale (Jamsostek) sono pari al 9,7% (3,7% per la
pensione e 6% per la copertura sanitaria). I compensi crescono
rapidamente quando si risale la gerarchia aziendale: per un manager
senior bisogna calcolare almeno 3mila dollari al netto di benefit
diversi e anche per un tecnico di fabbrica esperto, difficilmente si
scende al disotto dei 1.300 dollari. Le maggiori difficoltà nel reperimento delle risorse umane
riguardano la manodopera specializzata e i quadri tecnici. In genere le
aziende suppliscono a questa carenza con corsi di formazione interna o
ricorrendo a personale espatriato. L’apprendimento, soprattutto per i
più giovani, è generalmente veloce. Non è sempre facile trovare anche
dei buoni interpreti. Più agevole il reperimento di quadri commerciali e
amministrativi.
Relazioni col personale e normative
La
settimana lavorativa è di 40 ore e gli straordinari (che i lavoratori
indonesiani non amano eccessivamente) si pagano, mediamente, il doppio. I
dipendenti hanno diritto ad almeno 12 giorni all’anno di vacanza. In
caso di licenziamento il dipendente ha diritto a un’indennità pari a un
mese per ogni anno lavorato e in alcuni casi (lavoratori più anziani) a
una buonuscita supplementare. E’ ampiamente ammesso il ricorso al lavoro
temporaneo per attività ausiliare e stagionali e in sostituzione degli
straordinario nel caso di carichi di lavoro eccezionali. Le aziende con
più di 120 dipendenti devono dare accesso a un’organizzazione sindacale
interna. I sindacati, in genere, hanno un approccio collaborativo.
Personale espatriato
L’azienda
che intende utilizzare personale espatriato deve sottoporre al
Ministero del Lavoro un piano specifico (RPTKA) sulla base del quale può
esser attivata una procedura che si conclude con il rilascio del un
permesso di lavoro e che coinvolge anche l’Ambasciata o i Consolati del
Paese di provenienza. Dopodiché il datore di lavoro dovrà versare
mensilmente 100 dollari a un apposito fondo (DPKK: Dana Pengembangan
Keahlian dan Ketrampilan) che finanzia le attività di formazione
professionale nel Paese. Per incarichi temporanei può essere richiesto
un certificato provvisorio (Kitas o Pengawasan Orang Asing) rilasciato
dall’ufficio Immigrazione. In alternativa può essere rilasciato un
certificato analogo (IMTA:Izin Memperkerjakan Tenaga Asing or IMTA) in
cui sono specificati la tipologia e la durata dell’incarico affidato.
Entrambi i permessi hanno una validità massima di un anno. I lavoratori
espatriati sono considerati fiscalmente residenti in Indonesia se
soggiornano nel Paese per almeno 183 giorni nell’arco di un anno.
Dogane
L’Indonesia
ha applicato per lungo tempo una politica protezionista in materia di
commercio estero, ma la situazione sta cambiando a seguito degli
obblighi assunti nel contesto di accordi internazionali con particolare
riguardo alla World Trade Organisation. Di conseguenza anche i dazi sono stati ridotti e attualmente, per provenienze dai Paesi UE che non beneficiano di alcun regime privilegiato, variano dal 5 al 30% a seconda dei beni. I prodotti di lusso però possono essere colpiti da un’imposta speciale (Lst) che si aggiunge e che può variare dal 10% al 75%.
Sono diverse le categorie merceologiche coinvolte: auto, yacht,
gioielli, profumi, articoli sportivi, apparecchiature elettroniche,
calzature, mobili, cristalleria ecc. All’interno di una stessa categoria
peraltro, l’imposta è applicata con criteri differenti a seconda del
valore e delle caratteristiche.
I dazi di fascia bassa sono invece applicati ai
macchinari e in genere ai materiali e semilavorati che non sono prodotti
localmente o che sono disponibili in quantità insufficiente.
L’importazione di attrezzature e macchinari può essere oggetto di
esenzione (dazi e IVA) anche nel contesto di incentivi specifici
concessi dalle Autorità locali per iniziative di sviluppo in settori
diversi inclusi: turismo, attività minerarie agricole, sanità, scuola e
formazione, attività manifatturiere strategiche, opere infrastrutturali.
La lista di queste attività e i criteri di applicazione sono aggiornati
ogni anno. Rientrano invece nelle fasce tariffarie più alte i prodotti
che fanno concorrenza all’industria locale (abbigliamento, ecc.) tranne
le rilevanti eccezioni derivanti dagli accordi di libero scambio in cui
l’Indonesia è coinvolta. Considerata la complessità del sistema è
opportuno, per le aziende interessate a entrare sul mercato, il ricorso
alla consulenza di esperti doganali.
Sistema tariffario e accordi di libero scambio
Le Dogane indonesiane adottano, per l’applicazione delle tariffe, il Sistema Armonizzato(HS). La tariffa applicata però, dipende dalla provenienza geografica in quanto l’Indonesia è legata da accordi tariffari preferenziali con i Paesi ASEAN (Filippine, Singapore, Vietnam, Thailandia, Malaysia, Myanmar, Laos, Brunei) che prevedono un’aliquota massima del 5%
per la maggior parte dei prodotti. A sua volta l’ASEAN ha concluso
analoghi accordi multilaterali con Cina, Corea del Sud, India,
Australia, Nuova Zelanda. Inoltre l’Indonesia è singolarmente legata a
un accordo di libero scambio (IJEPA) con il Giappone.
Regimi particolari in esenzione di dazio sono applicati per il traffico
di perfezionamento passivo (materie prime e semilavorati destinati a
essere trasformati localmente e successivamente riesportati) e altri
casi particolari: beni utilizzati per esposizione in Fiere o per
attività scientifiche, prodotti da sottoporre ad analisi e perizie,
campioni commerciali, attrezzature e materiali per lavori pubblici
finanziati dai programmi di aiuto e cooperazione internazionali.
Importatori
Per
vendere sul mercato indonesiano è indispensabile avvalersi di
importatori registrati presso la Direzione delle Dogane e quindi in
possesso delle relative licenze e numeri di identificazione. Gli
importatori sono sottoposti ad un’imposta sul valore importato pari al
2,5% che viene generalmente riversata sull’acquirente finale. Sono
previsti diversi tipi di licenze: importatori generici per conto terzi
(API), importatori per utilizzo diretto nell’attività propria (API-P) e
importatori autorizzati per prodotti che richiedono una qualifica
specifica (licenza AT). Si tratta in genere di prodotti per i quali
l’Indonesia cerca di proteggere il mercato interno: calzature,
abbigliamento, giocattoli, apparecchi elettronici, riso, zucchero, soia,
mais, altri prodotti alimentari. L’importazione di macchinari usati è
concessa soltanto per utilizzo diretto. Unica eccezione: le attrezzature
ospedaliere.
Valutazione in dogana
I
dazi sono applicati con criteri ad valorem su base Cif (Cost,
Insurance, Freight). L’Iva all’importazione è applicata sullo stesso
ammontare aumentato del dazio. L’aliquota applicata è nella maggior
parte dei casi il 10%. Le tasse speciali applicate sui prodotti di lusso
sono invece al netto dell’IVA. In linea di principio il costo
riconosciuto del prodotto in Dogana è quello che emerge dai documenti
commerciali incluse commissioni di brokeraggio e costi di movimentazione
in Dogana. In alternativa e in caso di contestazione, si fa ricorso
agli usuali metodi valutativi: confronto con prodotti analoghi, calcolo
analitico ecc. Per le merci provenienti dai Paesi ASEAN o collegati al
sistema ASEAN (Cina, Corea del Sud ecc.) e dal Giappone occorre produrre
il certificato di origine secondo uno specifico format.
Zone franche e depositi doganali
Sono
esenti da dazi e generalmente anche da IVA, i beni importati che
confluiscono nei depositi doganali (dove possono essere oggetto di
operazioni di etichettatura, imballaggio ecc.) o nelle zone franche e
nei Parchi Industriali finalizzati all’esportazione, dove possono essere
oggetto anche di trasformazione industriale. Gli adempimenti doganali e
il pagamento dell’IVA e altre imposte vanno però perfezionati se questi
beni entrano sul mercato indonesiano. Sotto questo profilo, l’utilizzo
di zone franche e depositi doganali consente agli importatori di ridurre
le necessità di finanziamento durante il periodo in cui le merci
acquistate rimangono nel deposito.
MA SE E' VERO TUTTO QUESTO,PER L'INDONESIA SI PUO' FARE QUALCHE COSA NEL BREVE PERIODO (non riccorrendo al famigerato aumento della benzina!!!!!!!),QUESTA E' UN ANALISI ECONOMICA DEL PAESE, CHE DOVREBBE DARE DELLE NUOVE IDEE, A CHI GOVERNA,
PURTROPPO SAPPIAMO CHE LA BUROCRAZIA,NON HA UNA MENTE APERTA E QUINDI,QUANDO SI INCONTRANO DEGLI OSTACOLI,MEGLIO ANDARE SUL SEMPLICE,AUMENTIAMO LA BENZINA,AUMENTIAMO LE SIGARETTE ETC E SEMPRE A DISCAPITO DELLA POVERA GENTE.DA UNA PARTE SI DA LA TESSERA SANITARIA DI RICOVERO GRATUITA E DALL'ALTRA SI TOGLIE.........
MA PERCHE', IL NUOVO PRESIDENTE, NON PENSA DI TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA,TAGLIANDO I POSTI DI LAVORO GOVERNATIVI CHE SONO IN ESUBERO DEL 50%?????PURA UTOPIA LO SO,MA CON UN INFLAZIONE GALOPPANTE, COME QUELLA DELLA INDONESIA( che non si misura solo con il CPI......come fanno gli enti governativi)BISOGNA RICORRERE AI RIPARI,MA "FORSE L'ECONOMIA" E' UNA MATERIA SCONOSCIUTA IN INDONESIA.
RITORNO A DIRE, GOVERNO DI TECNICI (Economisti,Architetti etc), NON BUROCRATI.......MA A "MOLTI" NON CONVIENE.........
MA SE E' VERO TUTTO QUESTO,PER L'INDONESIA SI PUO' FARE QUALCHE COSA NEL BREVE PERIODO (non riccorrendo al famigerato aumento della benzina!!!!!!!),QUESTA E' UN ANALISI ECONOMICA DEL PAESE, CHE DOVREBBE DARE DELLE NUOVE IDEE, A CHI GOVERNA,
PURTROPPO SAPPIAMO CHE LA BUROCRAZIA,NON HA UNA MENTE APERTA E QUINDI,QUANDO SI INCONTRANO DEGLI OSTACOLI,MEGLIO ANDARE SUL SEMPLICE,AUMENTIAMO LA BENZINA,AUMENTIAMO LE SIGARETTE ETC E SEMPRE A DISCAPITO DELLA POVERA GENTE.DA UNA PARTE SI DA LA TESSERA SANITARIA DI RICOVERO GRATUITA E DALL'ALTRA SI TOGLIE.........
MA PERCHE', IL NUOVO PRESIDENTE, NON PENSA DI TAGLIARE LA SPESA PUBBLICA,TAGLIANDO I POSTI DI LAVORO GOVERNATIVI CHE SONO IN ESUBERO DEL 50%?????PURA UTOPIA LO SO,MA CON UN INFLAZIONE GALOPPANTE, COME QUELLA DELLA INDONESIA( che non si misura solo con il CPI......come fanno gli enti governativi)BISOGNA RICORRERE AI RIPARI,MA "FORSE L'ECONOMIA" E' UNA MATERIA SCONOSCIUTA IN INDONESIA.
RITORNO A DIRE, GOVERNO DI TECNICI (Economisti,Architetti etc), NON BUROCRATI.......MA A "MOLTI" NON CONVIENE.........
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