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giovedì 14 agosto 2014

MA CHE FINE HA FATTO????

Come sempre,in ogni paese c'è chi vuole mettersi in mostra,entrare nell'occhio del "io so" o colpito dal sole balinese, si mette a raccontare reali invenzioni,ma poi, purtroppo, finishe che.....................leggete con attenzione :



Dal settimanale "Panorama"
La verità sull'italiano di Bali
Una confidenza agli amici subito dopo l'attentato: «So tutto di quella bomba». La conferma dopo l'arresto: «Sì, sono un membro di Al Qaeda, anzi uno dei capi...». Andrea Giovanni Sorteni è un mitomane oppure un terrorista legato a Bin Laden? E che parte avrebbe avuto nella strage? Tra omertà e mosse diplomatiche per minimizzare la vicenda, cronaca di un mistero che continua a riservare sorprese
15-11-2002 1:00
«So tutto di quella bomba. Faccio anch'io parte di Al Qaeda. Ho avuto in anticipo le informazioni da un mio amico. Ho indicato io stesso la discoteca da colpire. Mi hanno chiesto di organizzare una festa nel mio night e di chiamarla Ultimate explosion party».
Gli oltre 200 corpi di turisti, che affollavano il Sari club e il Paddy's bar, fumano ancora quella notte di sabato 12 ottobre, cancellando l'inebriante profumo d'incenso, tipico di Bali. I 300 feriti lanciano urla strazianti di dolore. Le fiamme, visibili fino a 10 chilometri, mandano in cenere i 450 negozi colpiti dalla devastante esplosione, studiata e realizzata per fare il maggior numero di vittime e radere al suolo un'intera area.
All'improvviso Andrea Giovanni Sorteni, milanese, 38 anni, proprietario del nightclub Scandal a Kuta, e della discoteca Janger, nel quartiere residenziale di Sanur, si confida con alcuni amici locali e fa queste pesantissime dichiarazioni. L'imprenditore italiano è stato sempre un po' esuberante e chiacchierone, specialmente a tarda ora.
Ma quelle rivelazioni fanno accapponare la pelle di chi le riceve. Immediatamente uno dei presenti telefona a un ufficiale del Bais, il servizio segreto militare, potentissimo e con milioni di informatori fin dai tempi della dittatura di Suharto. L'indomani, domenica, Sorteni viene prelevato di forza dal suo appartamento nell'hotel Saphir Bali, accanto allo Scandal, e portato in una località segreta per essere interrogato.
Comincia così l'avventura di questo strano personaggio che sembra uscito da una spy story ai Tropici, ambientata sotto le palme, fra turisti fradici di sudore, faccendieri della peggiore specie e terroristi internazionali. Il suo caso sta tenendo impegnati a decifrarne i misteri gli agenti di polizia e i funzionari dei servizi segreti di mezzo mondo oltre ai diplomatici dei due paesi maggiormente coinvolti: Italia e Indonesia. Non è vero che Sorteni sia stato arrestato nel corso di un retata, successiva alla strage, perché aveva il visto di soggiorno scaduto da oltre un anno.
La conferma alle notizie pubblicate la scorsa settimana da Panorama arriva dal massimo livello e contraddice la frettolosa ricostruzione di comodo del ministero degli Esteri italiano. La mattina di martedì 12 novembre, a un mese esatto dalla strage, nel suo ufficio alla Mapolda, il quartier generale della polizia, a Denpasar, la capitale dell'isola, il capo del team investigativo, il generale I Made Mangku Pastika, ha dichiarato a Panorama: «Sorteni è stato arrestato quasi subito per quelle dichiarazioni che lo collegavano alla bomba. Solo successivamente, indagando su di lui, la divisione criminale della polizia ha scoperto le violazioni alla legge sull'immigrazione».
Non per niente il giovane proprietario di locali notturni è stato catturato il 13 ottobre mentre il verbale d'arresto per il mancato rinnovo del permesso di soggiorno e di lavoro è datato 17 ottobre, quattro giorni dopo. Quel mandato di cattura è stato consegnato quasi immediatamente all'ambasciatore italiano a Giacarta, Francesco Greco, che oggi afferma: «Io devo basarmi sulla documentazione ufficiale. Non sono un funzionario di polizia giudiziaria. Non devo indagare né fare ordini di cattura» precisa all'inviato di Panorama, che lo ha intervistato nella sua residenza di Giacarta, il pomeriggio di sabato 9 novembre.
«Il mio compito è solo quello di assicurare l'assistenza legale a Sorteni, come a qualsiasi detenuto italiano, e controllare che siano rispettati i diritti umani. Questo ho fatto. Ripeto due volte: allo stato, dico, allo stato, Sorteni è accusato solo di aver trasgredito le leggi di immigrazione. Se poi emergeranno altre accuse vedremo e ci regoleremo».
La posizione dell'ambasciatore Greco è sicuramente più prudente di quella, apparsa fin troppo avventata, del portavoce della Farnesina, il quale ha tentato di minimizzare le rivelazioni dell'articolo di Panorama della settimana scorsa, tanto da indurre alcuni quotidiani italiani (ma non quelli stranieri, compreso il Guardian e il Jakarta Post) a scrivere che «Sorteni è stato scagionato». È falso. Il 5 novembre scorso l'ambasciata d'Italia ha addirittura ricevuto una comunicazione ufficiale dalla polizia indonesiana: l'arresto di Sorteni è stato prolungato di altri 40 giorni, fino al 15 dicembre. E questo la dice lunga su un caso che si vuole fare apparire come quello di un immigrato più o meno clandestino.
È normale tenere per così tanto tempo in carcere una persona in Indonesia solo per un reato che, tutto sommato, appare minore? La domanda è stata posta, il pomeriggio di martedì 12 novembre, direttamente al difensore dell'italiano, l'avvocato Erwin Siregar, uno dei più noti (e uno dei più cari) di Bali, scelto dalla famiglia Sorteni su indicazione dell'ambasciatore Greco. «In base alla mia esperienza in alcuni casi ci sono arresti, in altri no» risponde salomonicamente il legale. La vicenda del suo assistito è dunque così grave? «No, devono essere trovati ancora alcuni testimoni. Poi, tutto verrà portato al giudice che dovrà decidere». È sospettato di terrorismo il suo cliente?
«Forse, forse» risponde l'avvocato. Che immediatamente dopo si corregge: «È semplicemente sospettato per quel party famoso che ha realizzato alla vigilia delle bombe di Bali».
L'avvocato fa ovviamente il suo mestiere e cerca di tenere fuori dalla bufera Sorteni. In realtà la situazione è un po' diversa, come Panorama ha potuto ricostruire sulla base di informazioni ricevute da fonti varie, concordanti e tutte attendibili.
Intanto, il servizio segreto militare (Bais) non è l'unico a indagare sul passato e sulle amicizie pericolose dell'italiano. Quasi subito dopo l'attentato di Bali, il presidente dell'Indonesia, Megawati Sukarnoputri, ha ordinato che tutte le attività di intelligence, sia militari sia civili, da quel momento in poi dovevano essere coordinate dal Bin, il servizio segreto guidato dal generale Hendropriyono. Gli agenti del Bin hanno setacciato l'ambiente dell'imprenditore milanese, hanno fatto perquisizioni, hanno interrogato le sue fidanzate (passate e presenti), hanno controllato i conti bancari e hanno sequestrato diverse carte.
Mentre in gran segreto succedeva tutto questo Sorteni ha facilitato (o, secondo alcuni, complicato) l'inchiesta. Nella cella di sicurezza della Mapolda, a Denpasar, si è autoaccusato mettendo a verbale queste sconcertanti confessioni: «Sono un membro di Al Qaeda, anzi uno dei capi. Odio gli americani e gli occidentali in genere per quello che hanno fatto in Afghanistan e per quello che continuano a fare in Iraq e in Palestina. Ho conosciuto il leader palestinese Abu Nidal (recentemente assassinato a Baghdad, ndr) e mi sono trovato d'accordo con lui contro Yasser Arafat. Ho anche combattuto con le milizie mujaheddin musulmane nel Kosovo contro i serbi cristiani».
Non appena queste dichiarazioni sono state trasmesse, per conoscenza, all'ambasciatore italiano, un medico di fiducia della rappresentanza diplomatica italiana, Bruno Fontana, ritiratosi in pensione anni fa a Bali, è stato incaricato di verificare le condizioni di salute di Sorteni.
Le autorità di polizia indonesiane hanno fatto buon viso a cattiva sorte non gradendo affatto l'iniziativa, da loro giudicata «improvvida». Certo è che alla richiesta dell'ambasciatore Greco di far svolgere una perizia ufficiale sul detenuto non hanno mai risposto positivamente. «La verità» dichiara Greco «è che è in corso un braccio di ferro fra i servizi d'intelligence e la polizia locale. I primi vogliono tenere in carcere Sorteni il più a lungo possibile per continuare le indagini. I secondi non vedono l'ora di sbarazzarsi del grosso ingombro».
Cosa significa? In buona sostanza, fra le autorità politiche e di polizia dell'«isola degli dei» si sta affacciando un timore: che il governo italiano, di fronte a un irrigidimento degli investigatori indonesiani, possa emettere un «allarme viaggi a Bali», così come hanno già fatto altri paesi, dall'Australia agli Stati Uniti, dal Giappone al Canada. Ogni anno, in media, 50 mila visitatori italiani affollano le spiagge e i templi indù di Bali. Alla vigilia delle vacanze di Natale e Capodanno un «travel advisory» da Roma sarebbe un colpo mortale all'economia di questa isola, che sorge a soli 8 gradi a sud dell'equatore e vive esclusivamente di turismo di massa.
Sta di fatto che l'autoaccusa di Sorteni non è stata presa sotto gamba. Tanto più che, a dispetto dei giudizi idilliaci rilasciati ai giornali milanesi dagli amici del Jamaica bar, lo storico locale degli artisti di Brera, l'italiano, secondo quanto ha comunicato la polizia francese, quattro anni fa, è stato denunciato per porto di armi da fuoco mentre studiava a Parigi e successivamente è stato coinvolto in una truffa in Romania assieme a noti esponenti della camorra napoletana, secondo un rapporto dell'Interpol, reso noto dal quotidiano La Repubblica e trasmesso a Bali.
La sua stessa pretesa pazzia non sembra stare in piedi più di tanto, a sentire chi lo conosce meglio. «Non ha mai dato segni di squilibrio» assicura Lia (il cognome da queste parti è come non averlo), la ragazza dell'isola di Java che è stata la sua prima fidanzata e alla quale Sorteni ha fatto ben tre telefonate dopo l'arresto spiegandole i motivi della detenzione: «Vogliono che racconti che cosa so sulla bomba di Bali». Aggiunge Massimo Sacco, il proprietario del The Village, il ristorante italiano più famoso dell'isola resort, che lo ha avuto spesso ai tavoli: «Si è sempre dimostrato una persona normale. È venuto da me anche la sera prima dell'attentato. Erano le 23.30. Aveva fretta perché diceva che doveva correre alla sua discoteca».
Andrea Sorteni, 38 anni, milanese, tuttora detenuto in Indonesia
Ma allora, credere o no a quello che i detective locali definiscono, proprio per la sua confessione verbalizzata, «l'italiano di Osama»?
I funzionari di polizia australiani, inglesi e americani, che affiancano quelli indonesiani nelle indagini sulla strage, ritengono (e hanno fatto sapere alle autorità italiane) che Sorteni abbia «diversi segreti da nascondere». Innanzitutto c'è la sua amicizia con il cittadino saudita Abdullah, che gli è stato presentato dalla seconda fidanzata, Mimì, all'inizio del 2002.
Questa ragazza è diventata il testimone più importante dell'inchiesta, anche se è rimasta sempre in stretto contatto telefonico con «il mio André».
Negli ultimi giorni Mimì, che conserva ancora nel suo portafoglio la foto del misterioso saudita, di cui si ignora la sorte, ma che è considerato dal servizio d'intelligence indonesiano un elemento chiave di Al Qaeda, è stata presa in consegna da un amico del detenuto italiano, arrivato di gran corsa da Milano. «Non vuole parlare con nessuno. Quindi la lasci in pace» ha detto il giovane all'inviato di Panorama, rifiutando di dire il suo nome e parlando dal cellulare della fidanzata di Sorteni.
Non solo. In uno degli interrogatori, alla presenza di un detective australiano, l'ex artista bohémien di Monza ha fatto un'altra importante affermazione: «Ho ricevuto soldi per organizzare la festa nella mia discoteca. Me li hanno dati alcuni di coloro che voi sospettate per le bombe. Un party analogo c'è stato il giorno prima a Giacarta».
Quello del denaro è l'aspetto più inquietante della storia di Sorteni. Chi gli ha messo in mano, in contanti, i miliardi e miliardi di rupie per comprare prima il Janger, poi per rinnovarlo e successivamente per acquistare anche lo Scandal? Il suo socio locale, l'indonesiano d'origine cinese, Arif, non appare affatto facoltoso, anzi è risultato dalle indagini fiscali pieno di debiti di gioco. Un'eredità? «Ma se ha rotto con la famiglia da anni» confida un amico di lunga data, che conosce anche il fratello maggiore e la sorella.
L'ipotesi più accreditata dagli investigatori indonesiani e da quelli internazionali è che in effetti Sorteni sia stato usato dall'organizzazione terroristica di Osama Bin Laden proprio per le sue convinzioni maturate negli anni scorsi. Che insomma possa essere diventato uno strumento per coprire la preparazione dell'attentato. «Non mi stupirei affatto. Ci sono centinaia di esempi analoghi nella storia recente di Al Qaeda» sostiene Rohan Gunaratna, il maggiore studioso di Bin Laden, che in questo momento insegna all'università di Singapore ed è in stretto contatto con la polizia indonesiana.
Ecco perché Sorteni continua a rimanere in carcere. Nei giorni scorsi è stato spostato nella prigione ufficiale dell'isola, a Legian.
Il suo avvocato si sta battendo come un leone, facendo leva su tutti i suoi agganci, perché il dossier sia immediatamente affidato a un magistrato. «La pena prevista per le violazioni alla legge sull'immigrazione è una multa di 35 milioni di rupie (4 mila euro) oppure due anni di carcere». Può anche essere espulso dall'Indonesia ed estradato in Italia? «Certamente» risponde, indicando che questa sarà la soluzione più probabile, l'avvocato Siregar.
Il quale, qualche minuto dopo aver sorriso e mostrato tutta la cordialità balinese, si fa serio e, stringendo la mano, ripete per ben quattro volte all'inviato di Panorama: «Fossi al suo posto, lascerei l'isola al più presto possibile».
Sta scherzando? O è una minaccia? «Guardi, fra me e lei non c'è nulla. Sorteni mi ha chiesto di riferirle solo questo messaggio: è meglio che lei lasci l'isola subito. Ne va della sua vita».
Nello stesso pomeriggio, dopo aver informato l'ambasciatore italiano in Indonesia, l'inviato di Panorama, d'intesa con il direttore Carlo Rossella, ha preso il primo volo utile per l'estero e ha abbandonato il paradiso di Bali trasformato dai terroristi in un inferno.  


Bali, pittore italiano arrestato
"Ha minacciato di far saltare
in aria un aereo di linea"
Andrea Giovanni Sorteni, 48 anni
Ma lui nega ogni accusa

Secondo la polizia avrebbe effettuato una telefonata minatoria alla Lion Air, perché la compagnia non aveva imbarcato la moglie indonesiana in possesso di un biglietto scaduto. Il pittore si dichiara innocente
Andrea Giovanni Sorteni (AFP)
Roma, 24 ottobre 2012 - Un pittore italiano è stato arrestato il 17 ottobre scorso nell’isola indonesiana di Bali dopo avere minacciato di far saltare in aria un aereo sul quale non era riuscita a prendere posto la moglie. Lo ha annunciato oggi la polizia locale, rivelandone l’identità. Andrea Giovanni Sorteni, 48 anni, potrebbe essere accusato di terrorismo, hanno riferito le autorità.
Con la sua minaccia di fare esplodere il volo in partenza da Yogyakarta e diretto a Java, l’uomo ha creato il panico negli altri passeggeri ed ha determinato un ritardo del decollo di alcune ore.
Sorteni, che nega ogni accusa, avrebbe protestato oltre il lecito perché le autorità della Lion Air avrebbero negato alla moglie indonesiana di salire a bordo del volo poiché in possesso di un biglietto scaduto. A quel punto avrebbe “chiamato la Lion Air avvertendo che c’era dell’esplosivo a bordo”, ha riferito una portavoce della polizia.


Il dramma di "Arde" morto a Giava dopo mesi di galera
Il ricordo di parenti e amici
Andrea Sorteni, pittore monzese di 49 anni, si è spento nei giorni scorsi in una stanza dell’ospedale di Sleman dove era stato portato poche ore prima
di Dario Crippa e Marco Galvani

Monza, 22 febbraio 2013 - «Non rilascio dichiarazioni... Sto ancora aspettando informazioni ufficiali dall’Ambasciata». Poi sospira, «è morto, ma di più non intendo dire». A quel punto l’ingegner Luca Sorteni si blocca. Andrea Sorteni, suo fratello, è morto. Provato da quattro mesi nella prigione di Yogyakarta, nell’isola di Giava, cuore dell’Indonesia. Andrea Sorteni, pittore monzese di 49 anni, si è spento nei giorni scorsi in una stanza dell’ospedale di Sleman dove era stato portato poche ore prima con «una gravissima disidratazione. Soffriva anche di insufficienza renale e di una infezione», il referto del direttore dell’ospedale.
La memoria non può che tornare a una vicenda accaduta più di dieci anni fa, quando Sorteni era già finito in carcere, a Bali, dopo un fatto terribile: l’attentato a una discoteca dell’«isola degli dei» in cui avevano perduto la vita 182 persone. Andrea Sorteni non c’entrava nulla, ma per qualche giorno era finito sulla lista dei sospettati: arrestato per violazione delle leggi sull’immigrazione, visto che nonostante un visto turistico di appena 15 giorni si era trattenuto per mesi nel Paese indonesiano aprendo una discoteca ad appena 500 metri da quella esplosa, si era trovato nell’occhio del ciclone.
E di una serie di circostanze sfortunate, visto che il giorno prima dell’attentato aveva organizzato una festa nella sua discoteca dal titolo incautamente profetico - «Ultimate explosion party» - e aveva reso alla polizia locale dichiarazioni farneticanti, sostenendo di essere «uno dei capi di Al Qaeda». La Farnesina e la sua famiglia erano riuscite a tirarlo fuori da quell’incubo pagando una multa di 35 milioni di rupie, circa 4mila euro. Poi Andrea era tornato in Indonesia, dove si era rifatto una vita.
Fino a 4 mesi fa quando «Arde», così firmava le sue opere e così era conosciuto da collezionisti italiani e francesi, era finito di nuovo in galera. Era lo scorso 14 ottobre e il pittore aveva dato in escandescenze quando prima di salire sull’aereo su cui con la moglie Maya contava di rientrare in Italia la ragazza era stata bloccata per alcuni problemi emersi sui suoi biglietti. Sorteni per la rabbia aveva telefonato allora alla compagnia aerea dicendo che su quel volo c’era una bomba: tre giorni dopo era stato quindi di nuovo arrestato, iniziando la sua lunga agonia.
Lontano dalla sua Maya, la ragazza indonesiana con la quale si era sposato quattro anni fa andando a vivere a Denpasar, il più importante centro di Bali, l’isola accanto a quella di Giava. Per lei aveva anche aperto una gelateria e l’aveva aiutata nella sua carriera di modella. A Monza ormai tornava soltanto una volta all’anno. Era così dall’inizio degli anni Novanta, da quando quel ragazzo un po’ curioso che girava per Monza con un serpente appeso al collo aveva deciso di girare il mondo. Veniva solo per andare a trovare la mamma e i due fratelli, Laura e Luca. Il padre Paolo, noto avvocato figlio di Leo Sorteni sindaco di Monza dal 1946 al 1951, è scomparso qualche anno fa. «Era un ragazzo molto espansivo e di una bontà infinita», lo ricorda la zia Anna, presidente del Museo Etnologico di Monza. Della tragedia sono stati «avvisati da un amico dell’Ambasciata». I contatti erano quasi inesistenti. I funerali si sono svolti la scorsa settimana e il corpo dell’artista è stato cremato, mentre oggi alle 18, nella chiesa di Santa Maria alle Grazie, si svolgerà una cerimonia per ricordarlo.
Michele Faglia, ex sindaco di Monza fra il 2002 e il 2007 e cugino di secondo grado di Andrea, sussurra: «Sono molto colpito: era un artista, faceva una vita fuori dagli schemi dell’alta borghesia cui apparteneva. Chissà cosa ha dovuto patire in quel carcere...». Amalia De Biase, ex professoressa di storia dell’arte al liceo classico Zucchi, lo ricorda così: «Era un ragazzo molto estroso e intelligente, la sua passione lo aveva spinto a studiare Belle Arti in Francia e a trasferisi a Brera. Per inseguire il suo sogno aveva lavorato persino come bagnino»


Ma allora chi è stato, a mettere realmente quella ignobile bomba?..........quali sono stati gli altri indagati?e che fine hanno fatto?  (non riguarda la comunità,ma è un dovere di cronaca,per finire una storia estremamente incresciosa, di un italiano, che pensava o non,di essere arrivato sulla sommità di una vetta e così di aver conquistato il dono, della "libertà di volare" con la mente, dalle costrizioni umane.

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