Dal settimanale "Panorama"
La verità sull'italiano di
Bali
Una confidenza agli amici subito dopo l'attentato: «So
tutto di quella bomba». La conferma dopo l'arresto: «Sì, sono un membro di Al
Qaeda, anzi uno dei capi...». Andrea Giovanni Sorteni è un mitomane oppure un
terrorista legato a Bin Laden? E che parte avrebbe avuto nella strage? Tra
omertà e mosse diplomatiche per minimizzare la vicenda, cronaca di un mistero
che continua a riservare sorprese
15-11-2002 1:00
«So tutto di
quella bomba. Faccio anch'io parte di Al Qaeda. Ho avuto in anticipo le
informazioni da un mio amico. Ho indicato io stesso la discoteca da colpire. Mi
hanno chiesto di organizzare una festa nel mio night e di chiamarla Ultimate
explosion party».
Gli oltre
200 corpi di turisti, che affollavano il Sari club e il Paddy's bar, fumano
ancora quella notte di sabato 12 ottobre, cancellando l'inebriante profumo
d'incenso, tipico di Bali. I 300 feriti lanciano urla strazianti di dolore. Le
fiamme, visibili fino a 10 chilometri, mandano in cenere i 450 negozi colpiti
dalla devastante esplosione, studiata e realizzata per fare il maggior numero
di vittime e radere al suolo un'intera area.
All'improvviso
Andrea Giovanni Sorteni, milanese, 38 anni, proprietario del nightclub Scandal
a Kuta, e della discoteca Janger, nel quartiere residenziale di Sanur, si
confida con alcuni amici locali e fa queste pesantissime dichiarazioni.
L'imprenditore italiano è stato sempre un po' esuberante e chiacchierone,
specialmente a tarda ora.
Ma quelle
rivelazioni fanno accapponare la pelle di chi le riceve. Immediatamente uno dei
presenti telefona a un ufficiale del Bais, il servizio segreto militare,
potentissimo e con milioni di informatori fin dai tempi della dittatura di
Suharto. L'indomani, domenica, Sorteni viene prelevato di forza dal suo
appartamento nell'hotel Saphir Bali, accanto allo Scandal, e portato in una
località segreta per essere interrogato.
Comincia
così l'avventura di questo strano personaggio che sembra uscito da una spy
story ai Tropici, ambientata sotto le palme, fra turisti fradici di sudore,
faccendieri della peggiore specie e terroristi internazionali. Il suo caso sta
tenendo impegnati a decifrarne i misteri gli agenti di polizia e i funzionari
dei servizi segreti di mezzo mondo oltre ai diplomatici dei due paesi
maggiormente coinvolti: Italia e Indonesia. Non è vero che Sorteni sia stato
arrestato nel corso di un retata, successiva alla strage, perché aveva il visto
di soggiorno scaduto da oltre un anno.
La conferma
alle notizie pubblicate la scorsa settimana da Panorama arriva dal massimo
livello e contraddice la frettolosa ricostruzione di comodo del ministero degli
Esteri italiano. La mattina di martedì 12 novembre, a un mese esatto dalla
strage, nel suo ufficio alla Mapolda, il quartier generale della polizia, a
Denpasar, la capitale dell'isola, il capo del team investigativo, il generale I
Made Mangku Pastika, ha dichiarato a Panorama: «Sorteni è stato arrestato quasi
subito per quelle dichiarazioni che lo collegavano alla bomba. Solo
successivamente, indagando su di lui, la divisione criminale della polizia ha
scoperto le violazioni alla legge sull'immigrazione».
Non per
niente il giovane proprietario di locali notturni è stato catturato il 13
ottobre mentre il verbale d'arresto per il mancato rinnovo del permesso di
soggiorno e di lavoro è datato 17 ottobre, quattro giorni dopo. Quel mandato di
cattura è stato consegnato quasi immediatamente all'ambasciatore italiano a
Giacarta, Francesco Greco, che oggi afferma: «Io devo basarmi sulla
documentazione ufficiale. Non sono un funzionario di polizia giudiziaria. Non
devo indagare né fare ordini di cattura» precisa all'inviato di Panorama, che
lo ha intervistato nella sua residenza di Giacarta, il pomeriggio di sabato 9
novembre.
«Il mio
compito è solo quello di assicurare l'assistenza legale a Sorteni, come a
qualsiasi detenuto italiano, e controllare che siano rispettati i diritti
umani. Questo ho fatto. Ripeto due volte: allo stato, dico, allo stato, Sorteni
è accusato solo di aver trasgredito le leggi di immigrazione. Se poi
emergeranno altre accuse vedremo e ci regoleremo».
La posizione
dell'ambasciatore Greco è sicuramente più prudente di quella, apparsa fin
troppo avventata, del portavoce della Farnesina, il quale ha tentato di
minimizzare le rivelazioni dell'articolo di Panorama della settimana scorsa,
tanto da indurre alcuni quotidiani italiani (ma non quelli stranieri, compreso
il Guardian e il Jakarta Post) a scrivere che «Sorteni è stato scagionato». È
falso. Il 5 novembre scorso l'ambasciata d'Italia ha addirittura ricevuto una
comunicazione ufficiale dalla polizia indonesiana: l'arresto di Sorteni è stato
prolungato di altri 40 giorni, fino al 15 dicembre. E questo la dice lunga su
un caso che si vuole fare apparire come quello di un immigrato più o meno
clandestino.
È normale
tenere per così tanto tempo in carcere una persona in Indonesia solo per un
reato che, tutto sommato, appare minore? La domanda è stata posta, il
pomeriggio di martedì 12 novembre, direttamente al difensore dell'italiano,
l'avvocato Erwin Siregar, uno dei più noti (e uno dei più cari) di Bali, scelto
dalla famiglia Sorteni su indicazione dell'ambasciatore Greco. «In base alla mia
esperienza in alcuni casi ci sono arresti, in altri no» risponde
salomonicamente il legale. La vicenda del suo assistito è dunque così grave?
«No, devono essere trovati ancora alcuni testimoni. Poi, tutto verrà portato al
giudice che dovrà decidere». È sospettato di terrorismo il suo cliente?
«Forse,
forse» risponde l'avvocato. Che immediatamente dopo si corregge: «È
semplicemente sospettato per quel party famoso che ha realizzato alla vigilia
delle bombe di Bali».
L'avvocato
fa ovviamente il suo mestiere e cerca di tenere fuori dalla bufera Sorteni. In
realtà la situazione è un po' diversa, come Panorama ha potuto ricostruire
sulla base di informazioni ricevute da fonti varie, concordanti e tutte
attendibili.
Intanto, il
servizio segreto militare (Bais) non è l'unico a indagare sul passato e sulle
amicizie pericolose dell'italiano. Quasi subito dopo l'attentato di Bali, il
presidente dell'Indonesia, Megawati Sukarnoputri, ha ordinato che tutte le
attività di intelligence, sia militari sia civili, da quel momento in poi
dovevano essere coordinate dal Bin, il servizio segreto guidato dal generale
Hendropriyono. Gli agenti del Bin hanno setacciato l'ambiente dell'imprenditore
milanese, hanno fatto perquisizioni, hanno interrogato le sue fidanzate
(passate e presenti), hanno controllato i conti bancari e hanno sequestrato
diverse carte.
Mentre in
gran segreto succedeva tutto questo Sorteni ha facilitato (o, secondo alcuni,
complicato) l'inchiesta. Nella cella di sicurezza della Mapolda, a Denpasar, si
è autoaccusato mettendo a verbale queste sconcertanti confessioni: «Sono un
membro di Al Qaeda, anzi uno dei capi. Odio gli americani e gli occidentali in
genere per quello che hanno fatto in Afghanistan e per quello che continuano a
fare in Iraq e in Palestina. Ho conosciuto il leader palestinese Abu Nidal
(recentemente assassinato a Baghdad, ndr) e mi sono trovato d'accordo con lui
contro Yasser Arafat. Ho anche combattuto con le milizie mujaheddin musulmane
nel Kosovo contro i serbi cristiani».
Non appena
queste dichiarazioni sono state trasmesse, per conoscenza, all'ambasciatore
italiano, un medico di fiducia della rappresentanza diplomatica italiana, Bruno
Fontana, ritiratosi in pensione anni fa a Bali, è stato incaricato di
verificare le condizioni di salute di Sorteni.
Le autorità
di polizia indonesiane hanno fatto buon viso a cattiva sorte non gradendo
affatto l'iniziativa, da loro giudicata «improvvida». Certo è che alla
richiesta dell'ambasciatore Greco di far svolgere una perizia ufficiale sul
detenuto non hanno mai risposto positivamente. «La verità» dichiara Greco «è
che è in corso un braccio di ferro fra i servizi d'intelligence e la polizia
locale. I primi vogliono tenere in carcere Sorteni il più a lungo possibile per
continuare le indagini. I secondi non vedono l'ora di sbarazzarsi del grosso
ingombro».
Cosa
significa? In buona sostanza, fra le autorità politiche e di polizia
dell'«isola degli dei» si sta affacciando un timore: che il governo italiano,
di fronte a un irrigidimento degli investigatori indonesiani, possa emettere un
«allarme viaggi a Bali», così come hanno già fatto altri paesi, dall'Australia
agli Stati Uniti, dal Giappone al Canada. Ogni anno, in media, 50 mila
visitatori italiani affollano le spiagge e i templi indù di Bali. Alla vigilia
delle vacanze di Natale e Capodanno un «travel advisory» da Roma sarebbe un
colpo mortale all'economia di questa isola, che sorge a soli 8 gradi a sud
dell'equatore e vive esclusivamente di turismo di massa.
Sta di fatto
che l'autoaccusa di Sorteni non è stata presa sotto gamba. Tanto più che, a
dispetto dei giudizi idilliaci rilasciati ai giornali milanesi dagli amici del
Jamaica bar, lo storico locale degli artisti di Brera, l'italiano, secondo
quanto ha comunicato la polizia francese, quattro anni fa, è stato denunciato
per porto di armi da fuoco mentre studiava a Parigi e successivamente è stato
coinvolto in una truffa in Romania assieme a noti esponenti della camorra
napoletana, secondo un rapporto dell'Interpol, reso noto dal quotidiano La Repubblica
e trasmesso a Bali.
La sua
stessa pretesa pazzia non sembra stare in piedi più di tanto, a sentire chi lo
conosce meglio. «Non ha mai dato segni di squilibrio» assicura Lia (il cognome
da queste parti è come non averlo), la ragazza dell'isola di Java che è stata
la sua prima fidanzata e alla quale Sorteni ha fatto ben tre telefonate dopo
l'arresto spiegandole i motivi della detenzione: «Vogliono che racconti che
cosa so sulla bomba di Bali». Aggiunge Massimo Sacco, il proprietario del The
Village, il ristorante italiano più famoso dell'isola resort, che lo ha avuto
spesso ai tavoli: «Si è sempre dimostrato una persona normale. È venuto da me
anche la sera prima dell'attentato. Erano le 23.30. Aveva fretta perché diceva
che doveva correre alla sua discoteca».
Andrea
Sorteni, 38 anni, milanese, tuttora detenuto in Indonesia
Ma allora,
credere o no a quello che i detective locali definiscono, proprio per la sua
confessione verbalizzata, «l'italiano di Osama»?
I funzionari
di polizia australiani, inglesi e americani, che affiancano quelli indonesiani
nelle indagini sulla strage, ritengono (e hanno fatto sapere alle autorità
italiane) che Sorteni abbia «diversi segreti da nascondere». Innanzitutto c'è
la sua amicizia con il cittadino saudita Abdullah, che gli è stato presentato
dalla seconda fidanzata, Mimì, all'inizio del 2002.
Questa
ragazza è diventata il testimone più importante dell'inchiesta, anche se è
rimasta sempre in stretto contatto telefonico con «il mio André».
Negli ultimi
giorni Mimì, che conserva ancora nel suo portafoglio la foto del misterioso
saudita, di cui si ignora la sorte, ma che è considerato dal servizio
d'intelligence indonesiano un elemento chiave di Al Qaeda, è stata presa in
consegna da un amico del detenuto italiano, arrivato di gran corsa da Milano.
«Non vuole parlare con nessuno. Quindi la lasci in pace» ha detto il giovane
all'inviato di Panorama, rifiutando di dire il suo nome e parlando dal
cellulare della fidanzata di Sorteni.
Non solo. In
uno degli interrogatori, alla presenza di un detective australiano, l'ex
artista bohémien di Monza ha fatto un'altra importante affermazione: «Ho
ricevuto soldi per organizzare la festa nella mia discoteca. Me li hanno dati
alcuni di coloro che voi sospettate per le bombe. Un party analogo c'è stato il
giorno prima a Giacarta».
Quello del
denaro è l'aspetto più inquietante della storia di Sorteni. Chi gli ha messo in
mano, in contanti, i miliardi e miliardi di rupie per comprare prima il Janger,
poi per rinnovarlo e successivamente per acquistare anche lo Scandal? Il suo
socio locale, l'indonesiano d'origine cinese, Arif, non appare affatto
facoltoso, anzi è risultato dalle indagini fiscali pieno di debiti di gioco.
Un'eredità? «Ma se ha rotto con la famiglia da anni» confida un amico di lunga
data, che conosce anche il fratello maggiore e la sorella.
L'ipotesi
più accreditata dagli investigatori indonesiani e da quelli internazionali è
che in effetti Sorteni sia stato usato dall'organizzazione terroristica di
Osama Bin Laden proprio per le sue convinzioni maturate negli anni scorsi. Che
insomma possa essere diventato uno strumento per coprire la preparazione
dell'attentato. «Non mi stupirei affatto. Ci sono centinaia di esempi analoghi
nella storia recente di Al Qaeda» sostiene Rohan Gunaratna, il maggiore
studioso di Bin Laden, che in questo momento insegna all'università di
Singapore ed è in stretto contatto con la polizia indonesiana.
Ecco perché
Sorteni continua a rimanere in carcere. Nei giorni scorsi è stato spostato
nella prigione ufficiale dell'isola, a Legian.
Il suo
avvocato si sta battendo come un leone, facendo leva su tutti i suoi agganci,
perché il dossier sia immediatamente affidato a un magistrato. «La pena
prevista per le violazioni alla legge sull'immigrazione è una multa di 35
milioni di rupie (4 mila euro) oppure due anni di carcere». Può anche essere
espulso dall'Indonesia ed estradato in Italia? «Certamente» risponde, indicando
che questa sarà la soluzione più probabile, l'avvocato Siregar.
Il quale,
qualche minuto dopo aver sorriso e mostrato tutta la cordialità balinese, si fa
serio e, stringendo la mano, ripete per ben quattro volte all'inviato di
Panorama: «Fossi al suo posto, lascerei l'isola al più presto possibile».
Sta
scherzando? O è una minaccia? «Guardi, fra me e lei non c'è nulla. Sorteni mi
ha chiesto di riferirle solo questo messaggio: è meglio che lei lasci l'isola
subito. Ne va della sua vita».
Nello stesso
pomeriggio, dopo aver informato l'ambasciatore italiano in Indonesia, l'inviato
di Panorama, d'intesa con il direttore Carlo Rossella, ha preso il primo volo
utile per l'estero e ha abbandonato il paradiso di Bali trasformato dai
terroristi in un inferno.
Bali, pittore italiano
arrestato
"Ha minacciato di far saltare
in aria un aereo di linea"
"Ha minacciato di far saltare
in aria un aereo di linea"
Andrea Giovanni Sorteni, 48 anni
Ma lui nega ogni accusa
Ma lui nega ogni accusa
Secondo la
polizia avrebbe effettuato una telefonata minatoria alla Lion Air, perché la
compagnia non aveva imbarcato la moglie indonesiana in possesso di un biglietto
scaduto. Il pittore si dichiara innocente
Andrea
Giovanni Sorteni (AFP)
Roma, 24
ottobre 2012 - Un pittore italiano è stato arrestato il 17 ottobre scorso
nell’isola indonesiana di Bali dopo avere minacciato di far saltare in
aria un aereo sul quale non era riuscita a prendere posto la moglie. Lo ha
annunciato oggi la polizia locale, rivelandone l’identità. Andrea Giovanni
Sorteni, 48 anni, potrebbe essere accusato di terrorismo, hanno riferito le
autorità.
Con la sua
minaccia di fare esplodere il volo in partenza da Yogyakarta e diretto a Java,
l’uomo ha creato il panico negli altri passeggeri ed ha determinato un ritardo
del decollo di alcune ore.
Sorteni, che
nega ogni accusa, avrebbe
protestato oltre il lecito perché le autorità della Lion Air avrebbero
negato alla moglie indonesiana di salire a bordo del volo poiché in
possesso di un biglietto scaduto. A quel punto avrebbe “chiamato la Lion Air
avvertendo che c’era dell’esplosivo a bordo”, ha riferito una portavoce
della polizia.
Il dramma di "Arde"
morto a Giava dopo mesi di galera
Il ricordo di parenti e amici
Andrea
Sorteni, pittore monzese di 49 anni, si è spento nei giorni scorsi in una
stanza dell’ospedale di Sleman dove era stato portato poche ore prima
di Dario
Crippa e Marco Galvani
Monza, 22
febbraio 2013 - «Non rilascio dichiarazioni... Sto ancora aspettando
informazioni ufficiali dall’Ambasciata». Poi sospira, «è morto, ma di
più non intendo dire». A quel punto l’ingegner Luca Sorteni si
blocca. Andrea Sorteni, suo fratello, è morto. Provato da quattro
mesi nella prigione di Yogyakarta, nell’isola di Giava, cuore
dell’Indonesia. Andrea Sorteni, pittore monzese di 49 anni, si è spento nei
giorni scorsi in una stanza dell’ospedale di Sleman dove era stato portato
poche ore prima con «una gravissima disidratazione. Soffriva anche di
insufficienza renale e di una infezione», il referto del direttore
dell’ospedale.
La memoria
non può che tornare a una vicenda accaduta più di dieci anni fa, quando Sorteni
era già finito in carcere, a Bali, dopo un fatto terribile: l’attentato a una
discoteca dell’«isola degli dei» in cui avevano perduto la vita 182 persone.
Andrea Sorteni non c’entrava nulla, ma per qualche giorno era finito
sulla lista dei sospettati: arrestato per violazione delle leggi
sull’immigrazione, visto che nonostante un visto turistico di appena 15 giorni
si era trattenuto per mesi nel Paese indonesiano aprendo una discoteca ad
appena 500 metri da quella esplosa, si era trovato nell’occhio del ciclone.
E di una
serie di circostanze sfortunate, visto che il giorno prima dell’attentato aveva
organizzato una festa nella sua discoteca dal titolo incautamente profetico -
«Ultimate explosion party» - e aveva reso alla polizia locale dichiarazioni
farneticanti, sostenendo di essere «uno dei capi di Al Qaeda». La Farnesina e
la sua famiglia erano riuscite a tirarlo fuori da quell’incubo pagando una
multa di 35 milioni di rupie, circa 4mila euro. Poi Andrea era tornato in
Indonesia, dove si era rifatto una vita.
Fino a 4
mesi fa quando «Arde», così firmava le sue opere e così era conosciuto da
collezionisti italiani e francesi, era finito di nuovo in galera. Era lo scorso 14 ottobre e il
pittore aveva dato in escandescenze quando prima di salire sull’aereo su cui
con la moglie Maya contava di rientrare in Italia la ragazza era stata bloccata
per alcuni problemi emersi sui suoi biglietti. Sorteni per la rabbia aveva
telefonato allora alla compagnia aerea dicendo che su quel volo c’era una
bomba: tre giorni dopo era stato quindi di nuovo arrestato, iniziando la sua
lunga agonia.
Lontano
dalla sua Maya, la ragazza indonesiana con la quale si era sposato quattro anni
fa andando a vivere a Denpasar, il più importante centro di Bali, l’isola
accanto a quella di Giava. Per lei aveva anche aperto una gelateria e l’aveva
aiutata nella sua carriera di modella. A Monza ormai tornava soltanto una volta
all’anno. Era così dall’inizio degli anni Novanta, da quando quel ragazzo un
po’ curioso che girava per Monza con un serpente appeso al collo aveva deciso
di girare il mondo. Veniva solo per andare a trovare la mamma e i due fratelli,
Laura e Luca. Il padre Paolo, noto avvocato figlio di Leo Sorteni sindaco di
Monza dal 1946 al 1951, è scomparso qualche anno fa. «Era un ragazzo molto
espansivo e di una bontà infinita», lo ricorda la zia Anna, presidente del
Museo Etnologico di Monza. Della tragedia sono stati «avvisati da un amico
dell’Ambasciata». I contatti erano quasi inesistenti. I funerali si sono svolti
la scorsa settimana e il corpo dell’artista è stato cremato, mentre oggi alle
18, nella chiesa di Santa Maria alle Grazie, si svolgerà una cerimonia per
ricordarlo.
Michele Faglia, ex sindaco di Monza fra il 2002 e il 2007 e cugino di secondo grado di
Andrea, sussurra: «Sono molto colpito: era un artista, faceva una vita fuori
dagli schemi dell’alta borghesia cui apparteneva. Chissà cosa ha dovuto patire
in quel carcere...». Amalia De Biase, ex professoressa di storia dell’arte
al liceo classico Zucchi, lo ricorda così: «Era un ragazzo molto estroso e
intelligente, la sua passione lo aveva spinto a studiare Belle Arti in Francia
e a trasferisi a Brera. Per inseguire il suo sogno aveva lavorato persino come
bagnino»Ma allora chi è stato, a mettere realmente quella ignobile bomba?..........quali sono stati gli altri indagati?e che fine hanno fatto? (non riguarda la comunità,ma è un dovere di cronaca,per finire una storia estremamente incresciosa, di un italiano, che pensava o non,di essere arrivato sulla sommità di una vetta e così di aver conquistato il dono, della "libertà di volare" con la mente, dalle costrizioni umane.
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