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lunedì 15 dicembre 2014

ESCLUSIVA : L'OPEC TAGLIA LE STIME SUI CONSUMI DI PETROLIO NEL 2015,L' IRAN PREVEDE $40 AL BARILE

L'OPEC taglia le stime sulla domanda di petrolio nel 2015, ma prevede una crescita della produzione. Da qui, si desume che i prezzi del greggio possano scivolare ancora, fino a 40 dollari al barile per l'Iran.

 


L’OPEC, l’Organizzazione dei produttori del 40% del greggio mondiale, ha rivisto nuovamente al ribasso le stime sui consumi di petrolio nel 2015, portandole a 92,26 milioni di barili al giorno, +1,12 milioni rispetto ai livelli attuali, ma 70.000 barili al giorno in meno delle previsioni di
novembre. Ma stando alle sue attese, la produzione dei paesi non-OPEC dovrebbe crescere di 1,36 milioni di barili al giorno, dopo essere aumentata di 1,72 milioni già quest’anno, portandosi nel 2015 a 57,31 milioni.
I paesi che faranno registrare la maggiore crescita saranno USA, Canada, Brasile. Per questo, l’Organizzazione stima che i suoi 12 membri necessiteranno di produrre l’anno prossimo 28,92 milioni di barili al giorno, circa 1,15 milioni in meno rispetto ai livelli del mese di novembre e anche al di sotto del target di 30 milioni di barili al giorno, confermato al vertice di Vienna dello scorso 27 novembre. Il dato è più basso di 280 mila barili al giorno rispetto alle stime precedenti.

APPROFONDISCI 1 - OPEC, il mancato taglio alla produzione del petrolio è un attacco all’America

In altri termini, la domanda crescerà nel 2015 al ritmo più basso degli ultimi 12 anni, mentre l’offerta complessiva aumenterà a un ritmo maggiore, per effetto della crescita della produzione nei paesi esterni all’OPEC, USA in primis. Se l’Organizzazione, quindi, non troverà un accordo per ridurre l’output o i suoi membri non lo faranno autonomamente, l’eccesso di offerta sul mercato aumenterà e i prezzi continueranno a scendere, tanto che il ministro iraniano del Petrolio, Mohammad Sadegh Memarian, ha dichiarato che in assenza di un’intesa solidale tra i membri dell’OPEC, si avrà uno shock enorme sul fronte dei prezzi, i quali potrebbero scendere fino ai 40 dollari al barile.
Lo stesso Iran, d’altronde, spera di potere aumentare la produzione, nel caso fossero allentate o del tutto eliminate le sanzioni dell’Occidente nei suoi confronti. L’obiettivo è di arrivare a 4,8 milioni di barili al giorno.

APPROFONDISCI 2 - Vertice OPEC, l’Iran appoggia l’Arabia Saudita: niente taglio alla produzione di petrolio

Nuovo crollo prezzi petrolio?

Dunque, rispetto ai 65 dollari attuali del Brent, il rischio per i produttori è che nel 2015 si registri un ulteriore calo fino al 40%, che porterebbe diversi paesi sul lastrico, Venezuela per primo.
La IEA (International Energy Agency), l’ente che raggruppa i paesi consumatori di energia, ha tuonato stamane contro l’eccessiva dipendenza del mercato da un nucleo ristretto di produttori, mentre ha snocciolato qualche dato interessante: per ogni barile in meno richiesto dalle economie dell’OCSE, due in più ne vengono consumati dalle economie emergenti.
Da qui potremmo desumere che la ripresa delle quotazioni del petrolio potrebbe arrivare non solo e non tanto da un miglioramento dell’economia nell’Eurozona e in altri contesti avanzati, quanto dalla solidità della crescita in Cina, Brasile, Russia e nelle altre emergenti. E le previsioni non sembrano ottimistiche.

APPROFONDISCI 1 :

La decisione dell'OPEC di non tagliare la produzione di petrolio mira a mettere sotto pressione l'offerta degli USA, che potrebbe, però, resistere anche a un nuovo calo dei prezzi.

Come previsto, l’OPEC non ha tagliato la produzione di petrolio, mantenendo per i prossimi sette mesi un obiettivo di 30 milioni di barili al giorno. Il prossimo vertice si terrà nel giugno del 2015. Prima di allora, non ci saranno novità da parte dell’Organizzazione, che rappresenta il 40% della produzione mondiale di greggio. Ha vinto, dunque, la linea dell’Arabia Saudita, anticipata dal potente suo ministro del Petrolio, Alì al-Naimi, secondo cui il mercato “will stabilize itself”, “si riequilibrerà da solo”. In altri termini, non sarà l’offerta a dovere diminuire per fare risalire i prezzi, ma i prezzi stessi.
All’interno dell’OPEC c’è un grande sconfitto, il Venezuela, che con il suo ministro degli Esteri, Rafael Ramirez, aveva auspicato un accordo e aveva guidato l’incontro di martedì tra Russia, Arabia Saudita, Messico e il Venezuela, appunto. Il paese latino-americano rischia una dirompente crisi fiscale, dato che ha già un deficit sopra il 15% del pil e rischia di allargare il “buco” con quotazioni del greggio ancora più basse.
 
La Russia non vede pericoli imminenti: il crollo delle quotazioni, proseguito anche in queste ore (Brent a 71,25 dollari al barile e Wti americano a 68,17 dollari), si accompagna a un contestuale tracollo del rublo, che dall’inizio dell’anno ha perso il 30%. In chiusura, la valuta russa ieri scendeva a 47,60 contro il dollaro, quasi ai minimi storici. Ciò determina un innalzamento del valore delle entrate (in dollari) dalla vendita di petrolio, nonostante le quotazioni siano diminuite.
I sauditi hanno voluto segnalare al mercato la loro indisponibilità a cedere quote, in favore di competitor in crescita, come gli USA. Il vice-presidente di Lukoil, la seconda compagnia petrolifera russa, Leonid Fedun, alla notizia del mancato taglio dell’OPEC, ha spiegato che ciò determinerà lo schianto della produzione di “shale oil” negli USA. Secondo il manager, finora l’America non ha sofferto il calo dei prezzi, perché i produttori si erano premuniti nei mesi scorsi, tutelandosi con contratti “hedge” a 90 dollari al barile. Ma quando questi contratti scadranno, dovranno anch’essi fare i conti con la realtà del mercato.
  
Sarà, ma la IEA (“International Energy Agency”), con sede a Parigi, ha spiegato che solo il 4% dello “shale” prodotto in America necessiterebbe di quotazioni superiori agli 80 dollari al barili, mentre la gran parte potrebbe affrontare una discesa fino a 42 dollari.
E, infatti, la produzione americana, già ai massimi di sempre con 9,077 milioni di barili al giorno, potrebbe portarsi nei prossimi mesi a 9,4 milioni, un livello simile a quello dell’Arabia Saudita, che dopo la Russia è al momento il secondo produttore al mondo.
Goldman Sachs prevede che il Brent sarà venduto mediamente a 80-85 dollari al barile nel 2015, il Wti a 70-75 dollari, sostanzialmente al di sopra delle quotazioni attuali. Sempre che non si scateni una fase più acuta della guerra dei prezzi, che porti i sauditi ad affrontare con maggiore vigore la concorrenza americana.

APPROFONDISCI 2

Si tiene oggi il vertice OPEC su un possibile taglio della produzione del greggio, ma le posizioni sembrano lontane tra di loro. L'Iran appoggia la linea non interventista dell'Arabia Saudita.

E’ arrivato il giorno tanto atteso: oggi si riuniscono i rappresentanti dei 12 membri dell’OPEC, l’Organizzazione responsabile del 40% della produzione mondiale di petrolio. Obiettivo: impedire che i prezzi del greggio continuino a scendere, dopo che si sono portati ai minimi da 4 anni e sono crollati del 26% rispetto al picco di giugno, attraverso un taglio della produzione, salita in ottobre complessivamente a 30,97 milioni di barili al giorno, quando il target del gruppo è di 30 milioni.
Le posizioni della vigilia sono molto variegate. Il Venezuela è il paese che maggiormente si batte per un accordo per tagliare la produzione, strangolato da una crisi fiscale potenzialmente distruttiva, visto che il deficit di Caracas viaggiava sopra il 15% del pil già quando il prezzo del greggio era prossimo ai 100 dollari al barile. E il greggio vale il 97% delle sue esportazioni.


Sul lato opposto del tavolo delle trattative ci sono, invece, Arabia Saudita e, a sorpresa, l’Iran, che in questi mesi ha assunto un’inedita posizione moderata, rinunciando a chiedere un calo della produzione, concetti ribaditi anche nelle scorse ore, quando il suo ministro del Petrolio, Bijan Namdar Zanganeh, incontrando l’omologo saudita, il potente Alì al-Naimi, si è detto d’accordo con quest’ultimo sul fatto che “il mercato si riequilibrerà da solo”.
In sostanza, Riad e Teheran ritengono che non bisogna intervenire sulla produzione, ma che l’attuale sovrapproduzione del mercato petrolifero dovrà essere riassorbita tramite movimenti (al ribasso) dei prezzi.

Le ragioni di Iran e Arabia Saudita

Come mai questa posizione decisamente pro-mercato? Il Regno Saudita è il primo produttore OPEC con 9,75 milioni di barili al giorno venduti nel mese di ottobre, circa l’11% dell’intera produzione mondiale. A differenza degli anni Ottanta, quando tagliò di due terzi le sue estrazioni, salvo assistere comunque al tracollo dei prezzi sotto i 10 dollari al barile (il Nord Europa e gli altri membri dell’Organizzazione pompavano petrolio senza sosta), stavolta Riad non vuole perdere quote di mercato in favore di nessuno, specie degli USA, che hanno già toccato, grazie allo “shale oil”, una produzione giornaliera di 9 milioni di barili e che potrebbe crescere a breve di altri 250 mila barili.

 Dal canto suo, Teheran – quinto produttore OPEC – ha in corso colloqui con il gruppo dei “5+1″ per trovare un accordo sul programma nucleare. In caso di esito positivo, le sanzioni contro le sue esportazioni di greggio sarebbero allentate o del tutto eliminate, cosa che le consentirebbero di accrescere la produzione. Normale che gli iraniani non chiedano agli altri di tagliare, se sanno che potrebbero finalmente aumentare le loro estrazioni. Lo stesso Qatar intende portare la sua produzione quotidiana dagli attuali 2,75 a 4 milioni di barili entro il 2017. E la Libia sarebbe quasi certamente esentata da un taglio, data la sua situazione delicatissima sul fronte sia produttivo che politico.

Chi taglia?

Dunque, a dover tagliare dovrebbe essere il resto della platea dell’OPEC, quando all’esterno, gli USA inviano segnali di un aumento a breve della produzione, mentre la Russia ha già detto chiaro e tendo due sere fa a un pre-vertice con Arabia Saudita, Venezuela e Messico che, anche volendo, non potrà farlo da qui alle prossime settimane.

  Anche se lo stesso al-Naimi ha dichiarato che l’OPEC uscirà oggi con una “posizione unica”, il mercato inizia a credere che allorquando un taglio dovesse essere annunciato, esso potrebbe risultare difficile da attuare o, comunque, poco incisivo, dato il peso decrescente che l’Organizzazione ha sul mercato del greggio mondiale. Da qui, il tonfo delle scorse ore del Brent, che ha toccato nuovi minimi degli ultimi 4 anni a 76,28 dollari, mentre il Wti è scivolato a 72,61 dollari.


SE LE COSE STANNO IN QUESTI TERMINI, DI QUANTO SI ABBASSERA' IL PREZZO DELLA BENZINA, IN INDONESIA ? 
E L' ISIS, COSA SE NE FARA', DI TUTTI I POZZI PETROLIFERI PRESI ?


 

 

 

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